La Dad tra peluche e bigodini. Dopo due anni, sembra tutto insensato

Riflessioni sulla didattica a distanza di una mamma alle prese con lavoro e adolescenza

«Mamma entra, abbiamo messo tutti dei peluche al posto delle nostre facce!».

Spalanco rapida la porta dello studio, voglio godermi il privilegio di accedere alla Dad, o alla Ddi che dir si voglia, questo mondo ovattato dove sembra non succedere nulla, o dove tutto può succedere. 
Tapparella a metà, luce bassa, odore di adolescente, carte di merendine sul pavimento, fogli accartocciati in ogni dove. Sto per partire con l’invettiva, ma lei mi redarguisce:
«Che cosa cavolo fai? Ho la telecamera accesa!».
Ho il turbante in testa, la sciatteria di una che viene da un turno di notte, mi avranno vista tutti, il mio momento di gloria è terminato.
Esco con la testa bassa di una pentita, ma subito il mio telefono brilla di una luce promettente. Lei, mia figlia, mi manda su WhatsApp uno screenshot che neanche al nido. Decine di pupazzi, chiusi nei loro riquadri, al posto degli studenti. Provo a riconoscere la ragazzina seduta a due passi da me, separata dalla parete invalicabile dello studio nel quale non si studia proprio un fico secco. Lei, quella del fondotinta sbavato sul lavandino del bagno e delle strisce sbiancanti per i denti, quella del mascara e della piastra ripassata 800 volte al minuto sulla stessa ciocca. Lei, quella dell’ombelico di fuori e dei jeans strappati, della bigiotteria comprata online e del “mio dissocio” come ultimo grido del gergo giovanile, ha le sembianze dell’orso con cui si addormentava all’età di tre anni. Se non ricordo male si chiamava Samuele e io non so se dietro Samuele c’è la disperazione di ascoltare cinque ore di lezione nella stessa posizione, senza nessuno intorno, o se il fanciullino che è in lei e in tutti i suoi simili oggi ha proprio voglia di manifestarsi.
Non so se sorridere, non so se rattristarmi.
Certo è che mi sembra tutto senza senso. Senza senso tutti i tentativi di evitare una serie di azioni considerate, fino a oggi, necessarie. Senza senso le mie contorsioni per prendere quell’oggetto che sta proprio alla sua destra e che mi costringe, inesorabilmente, a passarle dietro le spalle e a palesarmi davanti alla classe. Senza senso i miei “spegni la telecamera, sto per passare in mutande”. Senza senso il vassoio con la pasta al pesto appoggiato per terra e le sue spalle disallineate nel tentativo di pranzare senza che nessuno la noti. Senza senso i pugni che lei riserva al fratello quando lui, preso dal suo più pieno egocentrismo, travalica la parete inviolabile, le si siede addosso e inizia a salutare tutti, compagni e professori, con aggiunta di piccole coreografie e di una buona dose di boccacce. 
Ma perché, se lei oggi ha la faccia dell’orso Samuele (e credo anche la sua malinconia), io non posso sfilare in accappatoio e salutare tutti, magari anche prendere il microfono e iniziare a cantare?

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g