Catherine: «Dipingere a quattro mani con mio marito? La pienezza»

Catherine Horn e suo marito Gianni dipingono una riproduzione di «La creazione di Adamo» mentre fuori sembra esserci la fine del mondo: una tempesta di pioggia e di vento sta mettendo a dura prova la città di Montpellier e il sindaco ha persino dichiarato lo stato di emergenza. Loro, però, sono in estasi, quasi non si accorgono del temporale se non fosse per le gocce che entrando dal soffitto rischiano di allagare il ristorante in cui stanno lavorando. Dopo aver sistemato un secchio per raccogliere la pioggia, continuano imperterriti a lavorare a quell’opera enorme che ora si trova nel sottoscala di un palazzo di Ravenna: «Mio marito da giovane faceva il pittore a Napoli – racconta Catherine -, quando lo incontrai a Milano, moltissimi anni dopo, aveva smesso e faceva tutt’altro. In quel periodo era molto depresso, perché gli era da poco morta la moglie. Io lo convinsi a riprendere a dipingere e cominciò a farlo di notte. Dipingeva dei meravigliosi animali, senza modello, non so come facesse, è difficilissimo».

Dopo il matrimonio si trasferiscono in Francia, dove cominciano a dipingere a quattro mani: «Se Gianni si è rivolto nuovamente al mondo dell’arte ritrovando una passione giovanile grazie alla mia presenza, devo dire che anche lui ha fatto molto per me. In Francia mi sono laureata in designer per gli spazi e ho conseguito dei master in progettazione di interni, urbani, del verde e in progettazione illuminotecnica. Dipingere mi ha sempre attirato, ma prima di “La creazione di Adamo” non avevo idea che lo sapessi fare. Ci chiesero di dipingerla sulla parete di un ristorante. Fu un’esperienza bellissima. Non ho parole per dire che cosa significhi cimentarsi con un capolavoro del genere. È come provare a entrare nella testa di Michelangelo. Si tratta di un privilegio, si ha la sensazione di ritrovarsi in uno stato di grazia. Inoltre, fare un dipinto a quattro mani con l’uomo che ami dà un senso di pienezza e di serenità. Quando il locale ha cambiato gestore, volevano coprire la parete, e allora noi ci siamo portati via il cartongesso autoportante su cui avevamo dipinto».

Ed è così che Catherine, Gianni e la loro riproduzione si trasferiscono a Ravenna con l’intento di vivere della loro arte: «Appena arrivati le provò tutte per farci conoscere e a forza di insistere sono arrivati i primi lavori. Insieme abbiamo realizzato una serie di murales e trompe l’oeil per la città. Sono stati anni bellissimi. Gianni ha festeggiato i suoi 70 anni sull’impalcatura di un cantiere, mentre dipingeva un finto balcone”.

Attualmente Catherine dipinge su tela: «Le vicissitudini della vita mi hanno portato a riflettere sul mio essere donna e su tutte le sue implicazioni. Ho iniziato un percorso nel mio intimo che procede a suon di colpi di pennello. Essere madre, femmina, donna in una maniera sganciata dalla sua connotazione culturale sono diventate le tematiche che animano i miei quadri. Cerco l’essenziale, quelle emozioni profonde che sfuggono al tempo o alle culture. Si può dire che cerco l’evidenza. Sembra un controsenso eppure, prima di trovare l’evidenza, bisogna grattare via il superfluo, strato dopo strato. Cerco quella comprensione tra donne amiche; cerco la forza pura della natura, né buona né cattiva, ma semplicemente immensa. Cerco l’armonico flusso dell’universo e cerco l’animale in gabbia».

L’interesse di Catherine nei confronti dei significato più profondo di essere donna si riversa anche al di fuori di lei in maniera acuta e sensibile: «Tempo fa ho incontrato una ragazza straniera ferma in strada, perché le si era rotta la macchina. Era molto confusa, sofferente, non sapeva come fare per tornare in Svizzera. Allora io l’ho ospitata da me per darle il tempo di sistemare la sua automobile e quella sera mi ha fatto da modella. Aveva da poco perso un bambino e mentre la ritraevo ho capito che tutta quella sofferenza che avevo colto era legata all’aborto».

Un altro grande interesse di Catherine è la luce: «Per me rappresenta un’attrazione verso il divino, l’eternità. La mia è stata nel tempo quasi una ricerca spirituale e dopo aver trovato soddisfazione attraverso la pittura, ho tentato di ritrovarla anche nella progettazione illuminotecnica. Ho scoperto l’importanza del nero e ho acquisito la consapevolezza che a volte l’evidenza bisogna scoprirla. Sono tanti i quadri che ho realizzato che hanno come soggetto la pura luce. Ultimamente mi sto soffermando sull’autoritratto».

Gianni è morto circa un anno fa: «Devo molto a mio marito, è lui che mi ha insegnato a essere donna, a ritrovare l’artista dentro di me, ad accettare l’emotività e l’irrazionalità che avevo sempre messo da parte. Il mio percorso continua ancora nonostante e proprio grazie a lui».

Catherine continua a vivere a Ravenna con sua figlia Alba, che da grande vorrebbe fare la game designer.

 

 

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