Sul proprio profilo Facebook, Giuditta Matteucci si definisce una «sognatrice professionista». E a sentirla raccontare di sé, è forse la definizione che le assomiglia di più. Perché mentre parla di Internet e realtà aumentata, di filtri Instagram e riunioni online con i clienti, non perde mai di vista la base del suo lavoro e della sua ricerca: l’emotività.
Quarantuno anni, originaria di Punta Marina ma oggi residente a Cesenatico con il compagno e i due figli di quattro e due anni, Oscar e Clio, dopo il liceo artistico e l’Isia di Faenza (dai quali è uscita con il massimo dei voti), ha fatto una marea di esperienze lavorative: «Già negli anni dell’Isia avevo iniziato a occuparmi di prodotti narrativi e progetti emozionali poco legati alla produzione di massa ma comunque spendibili nel design. Peccato che il lavoro in alcune grandi aziende dai marchi importanti mi abbia mostrato un mondo molto lontano dalle mie aspirazioni, un ambiente dove il talento individuale e la passione venivano ben poco valorizzati, dove si lavorava tanto ma non si riceveva indietro granché in termini di crescita individuale e dove mi è capitato di assistere a dinamiche che oggi mi paiono impensabili, come le classiche domande, in sede di colloquio, sul fatto di desiderare o meno dei figli».
Spaziando dalla moda alla pubblicità e passando per la digitalizzazione dei libri cartacei, Giuditta negli anni si è trasferita nelle Marche, a Roma, a Bologna: «Ero ancora lì quando sono rimasta incinta la prima volta. Dopo, mi sono trasferita a Cesenatico dove abitava il mio compagno e ho scelto, forse in maniera un po’ obbligata, di trovare altre strade professionali. Durante la seconda gravidanza, per caso, è arrivato il mio primo cliente, Wear Me Baby, per il quale ho creato una fascia per portare i bambini, tema sul quale poi ho iniziato a lavorare anche come illustratrice».
Nel giugno di un anno fa, per Giuditta, è arrivato così il momento di aprire la partita Iva: «Sentivo che avevo maturato le competenze giuste per provare ad avere una mia identità e da quel momento sono iniziati a entrare i lavori. Oggi seguo la parte grafica dell’associazione Linea Rosa di Ravenna, lavoro con la ritrattistica, aiuto tanti privati a realizzare il loro marchio. Una delle soddisfazioni più grandi è stata realizzare quattro illustrazioni per il libro “Non sei sola. Fenomenologia della Mammadimerda”, dove ho usato molto l’ironia, attingendo anche alla mia vita di mamma».
E mentre incastra le sue giornate a suon degli irrinunciabili post-it, Giuditta non smette di studiare, aggiornarsi, fare ricerca: «In questo senso, uno dei progetti che ho deciso di scorporare dal mio profilo personale perché mi sembrava avesse una sua storia è “Lost ghosts”, dove parto da fotografie in bianco e nero senza copyright prese da archivi internazionali per collocare fantasmi amichevoli che creano un link emotivo. Un progetto al quale tengo molto e che mi ricorda come passione e lavoro possano, davvero, coincidere. Forse tutti gli anni di lavoro che ho accumulato mi sono serviti a condurmi qui, dove professione e velleità personali si sovrappongono».
L’unico dettaglio che manca, a questo punto, è forse la classica stanza tutta per sé: «Fisicamente non esiste. A casa, dove lavoro, non c’è lo spazio per ritagliarmela. Ma è comunque nella mia testa e forse, di conseguenze, in tutte le camere in cui entro». E mentre, in qualche notte di veglia, riflette su quello che farà domani, Giuditta non smette di pensare al suo sogno nel cassetto: «Una graphic novel mia, magari autoprodotta e realizzata con un linguaggio nuovo». Per ora, intanto, appiccica un altro post-it all’agenda degli impegni: «Non è certo un periodo facile per intraprendere questa avventura in solitaria. Sono anche reduce da un anno passato a casa con Clio per un problema di salute ed è normale che il Covid riecheggi in me con toni non dolcissimi. Detto questo, se non bloccano le spedizioni per il mio lavoro non cambia nulla. Cambierebbe, del tutto, se chiudessero le scuole, perché mi impedirebbero di lavorare. La conciliazione sappiamo bene che è una corsa a ostacoli che alla fine noi donne vinciamo, anche se non sappiamo bene, a fine giornata, come ce l’abbiamo fatta».
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