Sara, Irene e quei 10mila euro da pagare: “Abbiamo solo chiesto un diritto”

“Abbiamo solo richiesto il riconoscimento di un diritto. Ritrovarci, ora, a dover pagare 10mila euro per averci provato ci sembra assurdo”. Sara Dallabora vive a Piacenza con la compagna Irene, con cui si è unita civilmente nel 2017, e i loro figli Alessio e Ilaria di quattro e due anni.

La sentenza che la Corte d’Appello di Bologna ha emanato sul loro caso e su quello, gemello, di un’altra coppia di mamme della stessa città, è già storica in senso negativo: «Spinte dal vento favorevole che, in molte città d’Italia, negli anni passati, ha visto diversi Comuni trascrivere gli atti di nascita dei bimbi nati da genitori dello stesso sesso inserendo anche il nome e cognome del genitore non biologico, prima della nascita di Ilaria ci siamo fatte avanti, prima informalmente e poi in maniera più ufficiale, per capire se anche il nostro Comune avrebbe fatto lo stesso per entrambi i nostri figli».

Quando Sara e la compagna hanno visto che tirava una brutta aria, hanno tentato le vie legali, ricevendo però una sentenza negativa dal Tribunale di Piacenza, poi confermata in Appello un paio di mesi fa: «Ma la beffa è che il nostro Comune si è costituito parte civile e noi, come le altre due donne che hanno fatto il nostro stesso percorso, siamo state condannate a pagare 10mila euro di spese legali, una cifra enorme per una famiglia come la nostra. Irene è un’impiegata, io lavoro come operaia precaria e abbiamo due figli da crescere. Su di noi è stata applicata la tariffa più alta possibile, come fossimo due criminali. Abbiamo solo chiesto che la nostra famiglia venisse riconosciuta, che anche il nome della mia compagna comparisse all’Anagrafe accanto al nome dei nostri bambini di cui solo io, per la legge, sono la mamma».

Nella sentenza della Corte d’Appello, inoltre, è stato scritto che le due mamme avrebbero potuto richiedere la stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner): «Assurdo visto che, per ottenerla, bisogna verificare l’esistenza di un legame affettivo tra il genitore sociale e il bambino. Quando tutto questo ci è stato suggerito, Ilaria aveva un anno e mezzo. Diteci come sarebbe stato possibile”.

Alla coppia è stata proposta la rateizzazione del pagamento della cifra: “Ci sembra un contentino, stiamo facendo i miracoli per pagare tutto subito, vogliamo chiuderla qui. Io sono combattiva ma ora abbasso l’ascia di guerra, sperando che nei prossimi anni le cose cambiano. Il ricorso in Cassazione per ora è escluso, se andasse male sarebbe una carneficina”.

Sulla storia di Sara e Irene ha scritto un commento Giulia Gianni, ravennate trapiantata a Roma, che sei anni fa è diventata mamma di Milo insieme alla compagna e che, sulla storia della propria famiglia, ha scritto il libro “Stiamo tutti bene. Le tragicomiche avventure di una famiglia di nome e di fatto”: “Sto mettendo a posto le cose di Milo e tra queste c’è il suo passaporto nuovo di zecca, quello con il doppio cognome, nel quale sono indicate nero su bianco le sue due mamme. Nel frattempo, a Piacenza, ci sono altre due mamme, proprio come noi, e altri due bambini, proprio come Milo, che stanno vivendo una situazione a dir poco allucinante. Nessun passaporto per loro, nessun riconoscimento e, come se non bastasse, dovranno anche risarcire il Comune che si è dichiarato parte civile. Leggete la loro storia. Perché storie come questa non si debbano leggere più”.

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