Morte perinatale, in Emilia-Romagna 726 casi in cinque anni: “Possiamo fare ancora meglio”

Tra il 2014 e il 2018, in Emilia-Romagna, ci sono stati 726 casi di bambini morti dopo la 22esima settimana di gravidanza o nella prima settimana di vita. Un dato che è possibile rilevare grazie alla sorveglianza della mortalità perinatale, un progetto voluto oltre dieci anni fa dalla Regione, che è riuscita a implementarlo a partire, appunto, dal 2014. Il dato, che corrisponde al 4,21 per mille come incidenza, si abbassa al 3,85 per mille se si considerano solo le morti perinatali avvenute dalla 28esima settimana di gestazione in poi.

Di questi numeri si parlerà il 30 gennaio, a Bologna, durante un convegno dedicato al tema al quale parteciperà anche Fabio Facchinetti, direttore dell’Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia di Modena: “La nostra regione ha numeri bassissimi e stabili, vicini a quelli del Nord Europa. Siamo grati del fatto che in Italia l’Emilia-Romagna sia stata la prima regione a mettere in campo un sistema di sorveglianza come quello che vantiamo oggi: un sistema che ci ha consentito, per esempio, di iniziare a disporre di una cartella clinica del nato morto, cosa prima impensabile”.

Una “rivoluzione” che ha avuto, per Facchinetti, un importante impatto anche sul lavoro dei professionisti: “In passato, per noi, il bambino che nasceva morto semplicemente non esisteva. Oggi, invece, raccogliendo i dati possiamo provare a spiegarli, a cercarne le cause, a studiare i fattori di rischio e a fare prevenzione. Un lavoro che negli ultimi due anni è stato rafforzato dal progetto dell’Istituto superiore di sanità, che ha rilevato i dati in Sicilia, Lombardia e Toscana (qui l’ultimo aggiornamento)”.

Ma perché succede? “Le cause più frequenti riguardano un malfunzionamento della placenta. Ma ci sono anche le infezioni, così come le patologie del feto e le malattie della donna incinta come diabete e ipertensione. Conosciamo, in parte, anche i fattori di rischio: sappiamo, per esempio, che le donne straniere sono più predisposte, senza tuttavia conoscerne le ragioni. Così come sappiamo che l’obesità materna è un altro fattore di rischio, ben più importante del fumo”. Per provare ad evitare ancora di più le morti perinatali, uno dei fronti su cui lavorare è il miglioramento dell’assistenza: “Sicuramente ecografie sempre più precise possono aiutare. Ma dobbiamo anche continuare a dire alle donne di non arrivare alla prima visita tardivamente. Non è vero che tutte le gravide si fanno vedere subito e di frequente, come possiamo pensare”.

Insieme alla sorveglianza, in questi anni in Emilia-Romagna sono stati fatti passi in avanti anche sul versante dell’assistenza psicologica e dell’attenzione alle coppie che passano da un lutto del genere: “Abbiamo fatto formazione e abbiamo diffuso una cultura della cura anche in questo senso. Queste sono tragedie enormi”.

Su quest’ultimo punto l’intervista all’ostetrica Katia Andreoli, che ha lasciato la propria testimonianza di mamma e professionista

 

 

 

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