“Persi mio fratello per droga, la famiglia non è sempre la causa di tutto”

Sergio Barducci

Tornare a parlare di tossicodipendenza dopo oltre trent’anni. Farlo in veste di fratello. Scoprendo che la maggior parte delle persone ha avuto qualcuno – nella cerchia degli affetti – che dalla droga ci è passato eccome. Sergio Barducci, giornalista di San Marino RTV, ha impiegato parecchio tempo a scrivere “Ti parlo di noi”, il libro edito da Minerva che presenterà il 5 settembre alle 18 a San Patrignano e il 6 settembre alle 21 alla fortezza di San Leo. Un libro in cui porta alla luce la storia della sua famiglia e del fratello Marco, che si avvicinò alle sostanze stupefacenti a sedici anni fino a lasciarci la vita.

“Per me il tema della droga era pesante, bastava una frase a farmi riaprire la ferita. Non riuscivo a parlarne con nessuno, non potevo aprire un confronto che non mi facesse male – racconta Sergio -. Grazie al libro ho infranto il tabù e credo di aver in qualche modo provato ad aiutare ancora una volta Marco. Sua moglie, le sue due figlie e la sua nipotina, oggi, possono avere una testimonianza di quello che è stato. E se anche solo un ragazzo, leggendo questa storia, deciderà di stare lontano dalle sostanze, per me sarà stato un grandissimo successo”.
Da padre di tre figli, Sergio ammette di essere stato forse oppressivo sull’argomento: “Quando ti scotti con il fuoco, dopo hai paura anche dell’acqua calda. Ho provato a cercare di percepire ogni segnale anomalo, a restare sempre attento ai cambiamenti. Avevo l’esempio in casa, potevo sempre spaventare i miei figli ricordando loro quello che era successo allo zio. Per fortuna è andata bene”.

Non usa la parola “fortuna” a sproposito, Sergio, che nel suo racconto parla di Marco come di un tossicodipendente amato: “Una spiegazione del perché di una tragedia come quella che ho vissuto è difficile trovarla anche a distanza di anni. Ma fatico a credere che le colpe ricadano sempre sulle famiglie. Mio fratello forse era troppo fragile e la fortuna non ha giocato a suo favore. Quando sei adolescente, a volte basta un attimo a trascinarti verso la strada sbagliata. Perché se un amico ti dice ‘prova’, magari per non farti prendere in giro o per non rischiare di essere isolato tu provi davvero”. Allora la società commise due grandi errori, secondo l’autore: “Criminalizzò le persone che facevano uso di sostanze senza mai chiedersi come mai quelle persone cercavano risposte così. E puntò il dito contro le famiglie, andando di fatto a colpevolizzarle, farle vergognare e metterle ai margini”.

Sergio, per onorare il bel rapporto che aveva con Marco e proteggere i suoi, cercò in tutti i modi di prendere la situazione in mano, finendo persino per mettersi in coda per il metadone al Sert: “Ditemi se questo non è amore. Così come ditemi se non è amore quello di mia cognata, che decise di seguire Marco a San Patrignano, pur non avendone bisogno, e di crescere le sue figlie lì. Ancora oggi vive e lavora in comunità: la sua è diventata una scelta di vita”. Ed è stato amore anche quello della mamma di Marco, poi scomparsa per un tumore: “Si ammalò pure lei, alla fine, perché da certi dolori non si guarisce”.
Non è guarito nemmeno Sergio, anche se ha molto esorcizzato grazie alla scrittura: “Mentre lo scrivevo, nessuno sapeva del libro, nemmeno mia moglie. Durante un volo per la Sardegna le ho dato in mano la bozza: lei ha iniziato a piangere, per poi rimproverarmi di averle rovinato la vacanza. Ma mi ha dato il la per continuare: mi ero bloccato, mi sentivo a un punto fermo. Lei è stata l’input per finire”.

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