Padri sempre più impegnati nella cura dei figli: “Ma non ancora nel lavoro domestico”

Chi sono oggi i padri? È vero che sono evaporati? O è meglio dire che sono, invece, cambiati? A cercare di dare una riposta all’attuale questione è “Ambiguo paterno”, il libro curato da Enzo Morgagni e Ivan Morini  per Fernandel nato dall’omonimo convegno di studi organizzato da Femminile Maschile Plurale, a Ravenna, nel 2016.

Un libro che parte dal contributo di Arnaldo Spallicci, che nel confermare – dati alla mano – che i padri, oggi in Italia, sono più coinvolti e più impegnati nella cura dei figli, spiega che non sono però ancora diventati dei “nuovi mariti”. Insomma, dedicano più tempo ai bambini ma non al lavoro domestico: “L’uomo italiano sembra ancora godere di privilegi persi in altri terreni, perché non si sarebbe qui ancora verificato il fenomeno di modernizzazione dei modelli di divisione del lavoro e delle cure domestiche, che rimane quindi un ambito nel quale c’è ancora molto da fare per la costruzione di un assetto democratico ed egualitario del rapporto di genere e di coppia”.

Fatto sta che i padri, sempre secondo Spallicci, nello smarcarsi da patriarcato e dal modello dell’autorità maschile dominante in famiglia, hanno preso direzioni molto diverse: “Emergono figure sempre più differenziate di uomini e di padri”.

Sul tema scrive anche Stefano Ciccone, che mette in relazione i nuovi padri alle cause di separazione: “L’esperienza del conflitto nelle separazioni e nell’affidamento dei figli potrebbe essere l’occasione di una lettura diversa da parte maschile della propria collocazione nei processi di cambiamento: quel pregiudizio che fa dire al giudice che è la madre ad avere la titolarità principale della cura, l’attitudine all’accudimento nello spazio privato, lasciando al padre il ruolo del mantenimento economico, è lo stesso che contemporaneamente, e per molto tempo prima che gli uomini ne misurassero l’ingiustizia, ha portato a discriminare le donne nelle progressioni di carriera, nelle assunzioni e nell’accettazione di ricatti come la firma delle dimissioni in bianco in caso di maternità“.

La trasformazione nella paternità, non a caso, senta ad avere una riconoscibilità sociale: “Ancora oggi i media – continua Ciccone – ricorrono all’immagine dei mammi per descrivere uomini impegnati nella cura, ancora oggi vengono rappresentati come uomini che aiutano le proprie compagne, e questa loro scelta resta incompresa e taciuta nell’ambito lavorativo”. 

Questione di cultura? E la cultura si può cambiare? A questo proposito Annina Lubbock parla delle campagne sulla paternità e sulla cura maschile avviate in alcuni Paesi europei ma non in Italia: “Perché, malgrado l’arretratezza della nostra situazione a confronto di altri paesi, è mancata finora un’iniziativa a carattere nazionale? Per via delle difficoltà economiche del paese e di un mercato del lavoro poco dinamico e inclusivo? Per via delle culture arretrate nel mondo del lavoro? Per il perdurare di una cultura cattolica che vede la cura della famiglia come compito principalmente femminile? Per via delle resistenze dei ‘no gender’ nei confronti dei tentativi di superamento degli stereotipi di genere?”.

E a proposito di stereotipi, uno dei contributi al libro è quello di Sergio Lo Giudice, papà omosessuale (noi lo abbiamo intervistato qui), che porta la sua esperienza personale a sostegno dell’idea che sia l’amore a creare una famiglia, al di là del sesso dei genitori, del loro orientamento sessuale e dei ruolo di genere: “Nel rapporto con i figli viene meno una divisione di ruolo genitoriali di tipo tradizionale, ma non per questo vanno perdute le funzioni necessarie alla serena crescita dei minori e alla soddisfazione delle loro esigenze educative e affettive”.

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