“Luca non è solo una scusa per sorridere: è una scusa per capire, per imparare, per vivere una vita che abbia un senso”. Il presentatore tv Flavio Insinna è molto più che un mito per Luca Tramonti, il ragazzo di Ravenna con un disturbo dello spettro autistico a cui è dedicato il libro “Una scusa per sorridere. Sguardi su Luca, oltre la diversità” per il quale Insinna, che in passato l’ha incontrato di persona, ha scritto un emozionante contributo.
Insinna, le capita spesso che bambini e ragazzi malati o disabili la prendano come riferimento?
“Sì, è la zona bella del mio mestiere. Per la visibilità di cui godiamo e non certo per una capacità umana maggiore riusciamo ad arrivare laddove, facendo altri lavori, purtroppo spesso non si arriva. Per me tutto questo è un grande privilegio, una fortuna che bisogna sapere usare”.
Lei come la usa?
“Battendomi per molte cause nel mio privato, entrando nelle scuole e negli ospedali. Non lo faccio per essere gentile, per portare solo un sorriso. Lo faccio anche perché a contatto con la sofferenza ci si migliora. Lo dico sempre ai colleghi: quando partecipiamo alle manifestazioni di solidarietà siamo noi a dover ringraziare. L’occasione, oltre che per le persone alle quali andiamo a regalare un momento di spensieratezza, è per noi. Quando lo si capisce, si fa un enorme scatto mentale”.
Ieri ha pubblicato un suo selfie con il libro di Luca: sono arrivati commenti?
“A parte i tanti arrivati sui social, a cena alcuni amici mi hanno chiesto chi fosse Luca. E in quel momento ho pensato che mi piacerebbe avere a disposizione 48 ore al giorno: 24 per lavorare e stare con la mia famiglia e le altre per fare del bene e dedicarmi agli altri. Così come da bambini si sognano cose enormi, come diventare pirati, io vorrei davvero essere un magnate per poter aprire scuole, ospedali, centri per disabili. Credo che si possa sentire tanta bellezza e tanta pienezza, nel farlo”.
La televisione spesso fa rima con apparenza, superficialità: invece?
“Invece ho tanti amici conduttori come Carlo Conti, Milly Carlucci e Antonella Clerici che davvero si impegnano, ci credono e non certo per farsi vedere. E nel cuore ho sempre Fabrizio Frizzi, che era l’esempio di come si possa stare al mondo e si possa fare televisione senza diventare gli dei di se stessi. Me lo disse una volta un amico prete: sorvegliati, non essere il tuo dio, continua a porti il problema”.
Secondo lei si può educare alla sensibilità, alla solidarietà?
“Io sono figlio di un medico e sono stato abituato a vedere la sofferenza, a sentirla. Il rischio di una società individualista è invece quello di chiudere gli occhi e le orecchie, di far finta di non vedere e sentire”.
Che cosa le suscitano, persone come Luca?
“Il terrore, che a volte coincide con la realtà, che possano essere invisibili insieme ai propri problemi. Nel suo caso può essere un libro a evitarlo. Ma per molte persone non è così. Quando Marina, la mamma di Luca, mi dice che suo figlio continua a vedersi le repliche di ‘Affari tuoi’, mi emoziono. Per me vale come cinque o sei Oscar. E voglio sperare che non sia un caso, voglio sperare, non per vanità, che sia una questione di vicinanza umana e che possa quindi valere per altre persone. Persone che avrebbero bisogno di urlare ma che non hanno la possibilità di farlo. Per fortuna, a volte, ci sono mamme come Marina”.
Ovvero?
“Cariche, piene di vite, affettuose, pazzesche. Quando ieri le ho telefonato ho passato il primo quarto d’ora a tranquillizzarla, a dirle di respirare: ormai sono uno di casa, non deve avere soggezione. Ma lei era agitatissima, non poteva credere che le avessi telefonato. Mi ha fatto davvero sorridere”.