Non ha avuto difficoltà, Giorgio PCA Mameli, a mettersi nei panni di una donna immaginando come ci si possa sentire a partorire e crescere una figlia indesiderata, arrivata a “rubarle la giovinezza” all’interno di un matrimonio obbligato e senza amore. Ma ha sicuramente scoperchiato un argomento tabù, se è vero che parlare di aborto oggi in Italia (nonostante una legge vecchia quarant’anni) è ancora difficile, figurarsi se quell’aborto (che in questo caso andrebbe tra virgolette) è compiuto non su un feto ma su una figlia molto più che adulta.
“Mia madre mi ha abortita quando avevo 56 anni” è il libro pubblicato dall’editore bolognese Giraldi nel quale Maria Luisa Molo, davanti alla figlia Ella che è in coma, si lascia andare – sotto gli occhi increduli del medico, che la ascolta di nascosto – a un’auto-confessione cruda, vera e spietata sul fatto che non desiderasse quella bambina, considerata per tutta la vita un “impiccio” che le ha rovinato l’esistenza.
“Da un po’ di tempo – racconta Mameli – desideravo scrivere qualcosa sul rapporto tra genitori e figli. Si è soliti, infatti, incolpare i figli di cose per le quali la responsabilità dovrebbe ricadere sugli adulti. Poi un giorno, mentre ero sul tram, ho sentito due donne conversare davanti a me: una di loro si lamentava di quanto la vita fosse difficile a causa del figlio. Io ho aperto bene le orecchie e quando sono scese ho iniziato a prendere appunti, finendo poi per saltare la fermata e arrivare al capolinea”.
La scelta del coma per una delle due protagoniste, poi, è stata per Mameli un escamotage letterario per non creare contraddittorio tra madre e figlia: “Non volevo cascare in quei giochi malsani di reciproci rinfacci. Volevo che fosse la madre a dire a sua figlia ma soprattutto a se stessa cosa significa sentirsi costretti a vivere la maternità senza desiderarla né accettarla. Non che questo sia bello. Ma credo che possa esistere, in alcune persone, come sentimento. E io, scrivendo questa storia, non ho espresso un giudizio. Certo, Isa è una persona umanamente povera: non ha amiche, è povera di spirito e per molti aspetti superficiale. Ma mi piaceva l’idea di dar voce ai suoi sentimenti, anche se negativi, verso la figlia. Con lei, scrivendo, ho combattuto una vera battaglia”.
Alla fine, verso la protagonista, Mameli prova pena: “Perché alla fine degli anni Cinquanta, anche se l’interruzione di gravidanza non era ancora stata legalizzata, un modo per abortire si trovava. E a prescindere da questo, Isa avrebbe potuto vivere meglio la propria condizione, anche se non ideale, evitando di angosciare la figlia, che comunque ha sempre cercato un modo per farsi amare“.
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