Nan Coosemans

Aspettative deluse, comunicazione bloccata, ribellioni difficili da accettare. L’adolescenza, ai genitori, fa spesso paura. Ma la prospettiva andrebbe ribaltata. Almeno secondo Nan Coosemans, olandese residente a Riccione, formatrice e fondatrice di Younite, un’organizzazione internazionale che organizza campus dedicati alle famiglie. Mamma di due ragazzi di 14 e 12 anni e prossima al parto, Nan ha appena pubblicato il libro “Quello che i ragazzi non dicono. Comprendere e interpretare i silenzi degli adolescenti” (Sperling & Kupfer).
Da dove nasce il suo interesse per la fascia d’età 14-18 d’anni?
“Dalla mia storia. A quindici anni sono andata via di casa, ritrovando la forza che avevo perso e facendo incontri importanti come quello con Tony Robbins, un life coach statunitense. Da allora, ho sempre pensato che avrei sviluppato qualcosa per aiutare i ragazzi, per renderli più consapevoli”.
L’idea che all’adolescenza dei figli sia in qualche modo necessario sopravvivere che effetti ha?
“Negativi. Pensare all’adolescenza come a un periodo brutto significa non mettersi in discussione come genitori, non interrogarsi su se stessi, non cogliere la bellezza di un momento di grandissima crescita e di forte cambiamento”.
Come sta vivendo l’adolescenza dei suoi figli?
“Come una bella sfida. Mio figlio grande, poi, fa danza classica, cosa non vista di buon occhio. Dunque, si tratta ogni giorno di cercare di accompagnarlo nel migliore dei modi. Il lavoro mi aiuta, mi consente di riflettere e osservare ogni giorno. Certo, capita di pensare, quando sento la storia di un adolescente, ‘speriamo che questo non succeda anche ai miei figli”. Intanto continuo a studiare, a cercare di capire”.
In tutti questi anni di coaching c’è un caso che l’ha colpita in particolare?
“Ho visto tanti ragazzi, con storie anche estreme, come quello che si tagliava perché l’amica stava male. Ma a colpirmi sono più i genitori, soprattutto nelle separazioni, quando mettono al centro il proprio rancore e non il bene dei figli. Ultimamente organizzo molti corsi sulla riflessione di sé, dove si analizzano anche le ansie proiettate sui ragazzi”.
Come viene visto, un lavoro come il suo, dal mondo degli psicologi?
“Non di buon occhio, con competizione. Invece sarebbe bello e giusto collaborare. In Olanda sono gli stessi psicologi a mandarci i ragazzi. Non siamo qui solo per fare business”.

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