Uccise la fidanzata con un pugno, chiede il diritto all’oblio

Il suo nome non lo possiamo fare. Altrimenti ci fa scrivere dall’avvocato: si tratta di un tizio (chiamiamolo così) che nel febbraio del 2011 ha ucciso con un pugno la fidanzata a Rimini. Adesso chiede di essere dimenticato, vuole che il suo nome venga tolto da internet in nome del diritto all’oblio, questo istituto giuridico garantista che in nome del ‘volemose bene’  e del ‘perdonismo d’assalto’ comincia ad essere invocato un po’ troppo spesso. Funziona così. L’hai fatta grossa? Pazienza, dopo un po’ di tempo, anche se hai rubato, ammazzato, stuprato, vieni perdonato e riabilitato anche dal web: le tue malefatte non compariranno. A meno che… A meno che il diritto all’oblio non si scontri con altri diritti costituzionalmente tutelati come il diritto di cronaca. Ma in ogni caso bisognerà sudarsela in tribunale.

La vicenda del ‘tipo’ (scusate ma bisogna per forza chiamarlo così) è stata raccontata nei dettagli nel diario della propria vittima, la 25enne Elena Tanasa: una storia faccia di calci, pugni e violenze di ogni genere fino al tragico epilogo del febbraio 2011. Per questo l’uomo era stato prima condannato a 30 anni per omicidio volontario aggravato, con la pena confermata in appello e con la Cassazione che aveva derubricato l’omicidio a preterintenzionale con un significativo sconto: la pena definitiva è di 17 anni. Adesso, tramite il proprio legale, l’aguzzino sostiene che il suo nome deve scomparire dal web perché sono passati più di cinque anni dal fatto e altre amenità del genere. In particolare l’uomo, di nazionalità romena, contesta che le sue generalità appaiano in un sito (www.inquantodonna.it) che ricorda le donne vittime di violenza.

Moreno Maresi e Mattia Lancini, legali dei genitori di Elena Tanasa, hanno spiegato al Resto del Carlino che a loro parere la richiesta è priva di fondamento e citano una pronuncia della Corte di Cassazione sulla vicenda di Vittorio Emanuele di Savoia che chiedeva il diritto all’oblio sul controverso caso dell’uccisione di Dirk Hamer. “La Suprema corte – spiegano gli avvocati – afferma che il diritto all’oblio si deve confrontare col diritto della collettività ad essere informata ed aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti, anche quando ne derivi discredito alla persona titolare di quel diritto”.

Inoltre il Garante della privacy di recente ha affermato che non si può invocare il diritto all’oblio per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo. In questi casi prevale l’interesse pubblico a conoscere le notizie. Con questa motivazione, il Garante ha dichiarato infondata la richiesta di deindicizzazione di alcuni articoli presentata da un ex consigliere comunale coinvolto in un’indagine per corruzione e truffa.

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