“Fra due anni usciranno dal carcere, saranno di nuovo in Italia e si faranno una famiglia”. Lo ha detto il padre dei due minorenni marocchini arrestati a Rimini con l’accusa di aver stuprato una ragazza polacca e un transessuale nella notte del 26 agosto scorso. L’uomo, che sta scontando sei mesi agli arresti domiciliari per furto e per essere rientrato illegalmente in Italia, ha parlato durante la trasmissione televisiva Matrix.

Parole che hanno scatenato lo sdegno di molti, a partire dal sindaco di Rimini:  “E’ molto difficile rimanere imperturbabili – spiega Andrea Gnassi -. Quelle frasi, oltre a mettere in rilievo un preoccupante contesto famigliare, culturale, morale, sono inaccettabili innanzitutto per le tre persone oggetto di violenza bestiale e quindi per la comunità riminese, anch’essa in qualche modo costretta nella parte di vittima davanti ai fatti di quella notte agghiacciante”.

“Sentire dire da quel padre ‘spiace per la ragazza polacca e per il trans, è una cosa brutta che non si fa, ma è capitata…spero che (i miei figli) escano bene, puliti, senza più quelle compagnie, perché sono giovani, sono ragazzini…due anni, tre, escano per lavorare, fare le loro vite, una famiglia…’ significa non aver compreso per nulla la gravità e l’orrore delle violenze. – prosegue il primo cittadino riminese -. Un fatto del genere non ‘capita’, non si risolve con un paio d’anni di soggiorno in carcere e poi si esce e si torna a fare la propria vita. Da un punto di vista morale, tutto questo deve lasciare un segno profondo, non solo purtroppo nelle vittime ma soprattutto nei disumani carnefici, qualunque sia la loro età anagrafica. Da un punto di vista giuridico, questi accadimenti determinano responsabilità precise, rigorose, ferme che non possono e non devono risolversi in 24 o 36 mesi ‘lontani da casa’.

“Avevo già, nei giorni scorsi, sottolineato le parole equivoche di quel padre – conclude Gnassi -, all’indomani dell’arresto dei due figli, quando dichiarò ‘passi se si ruba un telefonino ma la violenza sulle donne no’. Le parole fanno emergere un quadro e un contesto in cui, quantomeno, risalta una evidente incapacità di comprendere non tanto e non solo le conseguenze dei propri atti ma principalmente delle leggi, delle regole, dei doveri che regolano la convivenza tra persone. E il fatto che quella famiglia fosse comunque da anni seguita e sostenuta nel suo processo d’integrazione da parte di strutture territoriali lascia spazio ad ancora più domande. Qualunque sia la provenienza o il credo religioso, chiunque ambisca a fare parte di questo Paese è tenuto a rispettarne leggi e doveri.