Chiara Saraceno

Non è vero che i genitori di oggi siano meno competenti di quelli di un tempo. Semmai, è diversa la percezione dei bisogni dei bambini e dell’adeguatezza dei grandi. Lo sostiene la sociologa Chiara Saraceno nel libro “Mamme e papà. Gli esami non finiscono mai” (il Mulino) che verrà presentato all’interno del festival Internazionale domani alle 16 alla biblioteca Ariostea di Ferrara.
Saraceno, mamme e papà sono continuamente sul patibolo. Perché?
“La società è ipergiudicante nei loro confronti e le diverse teorie sul modo giusto di fare i genitori fanno sì che chi non aderisce all’uno o all’altro modello sia considerato sbagliato e da condannare. Ai miei tempi una neomamma era solita ascoltare la sua, di mamma. Al massimo anche il pediatra. Oggi tutti vogliono dire la loro: i nonni paterni, i nonni materni, gli insegnanti, la televisione, i blogger. Questo eccesso di normatività mi colpisce sempre molto. Si stanno moltiplicando i soggetti che, sul modo più consono di crescere i figli vogliono dettare la legge. Con una conseguenza disastrosa: che ci si sente sempre inadeguati”.
In questo surpuls di teorie lei sottolinea quello che all’apparenza è un grande paradosso: la medicalizzazione estrema della gravidanza e del parto da un lato, il ritorno a uno stile materno che aderisce a pratiche cosiddette “naturali” dall’altro. Come ci si raccapezza?
“Sembrano tendenze opposte ma forse fanno parte della stessa dinamica. Chi ha i mezzi, per sedare ansie e paure si affida in maniera eccessiva a controlli ed esami, anche andando oltre i protocolli. Poi, quando quel bimbo è nato, ecco che sopraggiunge uno spirito ecologico, naturale. Credo che dietro ci sia un’immagine molto acculturata della natura. Le società povere non avevano certo in testa di dovere stare a tutti i costi accanto alla natura. Io vedo in queste tendenze una certa pesantezza nella misura in cui, alla lunga, fanno sì che le madri si autocolpevolizzino: magari perché non riescono ad allattare o perché trovano scomodi i pannolini lavabili. Lo dico da mamma di due gemelle nate all’epoca dei ciripà”.
Molti anni fa, durante un convegno, lei disse davanti al pubblico che le madri, almeno una volta nella vita, hanno pensato di sbarazzarsi dei figli. Il gelo che cadde sulla sala sarebbe lo stesso se dicesse le stesse cose oggi?
“Credo sarebbe molto peggiore. Perché se da un lato le donne sentono di essersi emancipate e rivendicano il fatto di aver fatto i figli quando lo volevano loro, dall’altro non accettano di vivere un conflitto così radicale tra la maternità e la libertà. Di fatto, è diventato ancora più difficile autorizzarsi a provare sentimenti negativi nei confronti dei propri figli o della propria condizione di madre. All’epoca dissi quelle parole in modo molto disinvolto. Oggi non lo farei con la stessa spontaneità”.
Si parla sempre più spesso dei nuovi padri, descritti come maggiormente coinvolti nella gestione familiare e nella cura dei figli. Lei come la vede?
“Ci sono senz’altro cambiamenti evidenti in questo senso, anche se credo che siamo ancora ingabbiati in una vecchia dicotomia: quella secondo cui attribuiamo alle mamme la cura, l’ascolto e la disponibilità e ai padri le regole, l’autorevolezza. Come se fosse impossibile essere affettivi e normativi al tempo stesso. Continuare ad agitare come uno spauracchio, nei confronti dei padri, l’idea che se si lasciano andare alla tenerezza perderanno autorevolezza è sbagliato: impedisce, infatti, di sviluppare una cifra della paternità diversa. Fare i padri non significa solo aiutare le madri ad accudire e crescere i figli. Significa, al contrario, una pienezza umana che solo in parte ha a che fare con la suddivisione equa dei compiti domestici e di cura tra donne e uomini. La parola ‘mammo’, che non a caso non utilizzano gli uomini accudenti, dà proprio l’immagine di un uomo che non si rinnova ma che resta all’ombra della donna, negandosi di fatto una splendida e unica opportunità”.
Spesso, però, trapela l’idea che nella primissima infanzia l’uomo non sia tanto centrale nella cura del bimbo e nell’attaccamento, quanto a sostenere la madre. Fuorviante?
“Assolutamente sì. Considerare il padre dispensabile e non indispensabile come la madre ci porta a sottovalutare l’importanza della sua presenza, a prescindere dalla categoria in cui lo vogliamo inserire. Un errore, quello di etichettare, che facciamo anche con le madri, suddividendole molte volte tra quelle ‘coccodrillo’, che aderiscono ai figli, e quelle ‘narcise’, che pensano solo a se stesse. Dimenticando che la maggior parte di loro si barcamena tra quei due opposti”.
Che cosa la preoccupa di più, guardando le famiglie di oggi?
“Mi preoccupano i genitori che provano a fare gli amici dei figli, che rifiutano la distanza generazionale: tenere una posizione diversa non significa sopraffare i figli e può comunque far rima con uno stile genitoriale amichevole. Ma i grandi devono aiutare i più piccoli a stare al mondo, indicando loro una strada. Mettersi a pari livello è un grosso errore. Lo è allo stesso modo della mania di controllo totale che vedo in altri genitori, quella tendenza a essere così attenti e presenti da rendere i figli trasparenti: un atteggiamento, questo, che in adolescenza piò diventare un vero boomerang visto che i figli si vogliono staccare da noi che non abbiamo fino ad allora messo un confine tra noi e loro. E ai genitori dico anche di creare le condizioni affinché i figli non abbiano solo loro come punto di riferimento, che abbiano invece altre figure a cui ricorrere in caso di bisogno di confronto”.