Leggo oggi che a Ischia nascono le zone del silenzio per dire no al chiasso dell’estate. E mai come ora mi viene in mente quanto l’estate, in effetti, faccia casino. Lo si capisce soprattutto quando è ora di addormentare un bambino in spiaggia. Il mio, che è comunque grandino, non è di quelli che si lamentano quando è ora della pennichella pomeridiana. Ma mentre lui prova a chiudere gli occhi, pare che tutti i rumori vengano sotto il nostro ombrellone.
C’è la comitiva di quindicenni che passa proprio di fianco al suo lettino (urtandolo). C’è la signora che finalmente ha trovato l’amica in riva e le urla che è arrivata da cinquanta metri di distanza. C’è il bambino appena uscito dall’acqua che è stato punto da un granchio e grida come un ossesso. C’è l’altoparlante del bar che si attiva ogni tre secondi: “C’è da spostare una macchina: è una Golf blu targata ‘sti cavoli”, “vi annunciamo che Sara la barista è single”, “oggi è il compleanno di Francesco: auguri!”, “signori Casadio, la pizza è pronta!”.
E poi, immancabile, c’è il ragazzino che cammina sulla passerella armato di palla da basket e che palleggia a ritmo regolare: un tum tum tum che in altri momenti sarebbe impercettibile ma che in quell’istante sembra insopportabile alle orecchie e all’ambizione che il pargolo crolli.
Poi, in realtà, si sa che i bambini sono tutto fuorché l’applicazione della teoria. E così, in quelle domeniche a prova di decibel, forse rassegnati all’idea del brusio continuo, dormono a oltranza. E quando, come ieri, regna il silenzio, dopo venti minuti sono già a posto.
Viva le palle da basket, dunque. E poi i granchi, gli altoparlanti, i compleanni, i ritrovi delle signore.
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