Si allarga la platea dei percettori del “bonus mamma domani”. Il premio di 800 euro corrisposto dall’Inps per la nascita o l’adozione di un minore, attivabile su domanda della futura madre al compimento del settimo mese di gravidanza o alla nascita, adozione o affido, sarà erogato anche alle donne immigrate sprovviste di permesso di soggiorno di lungo periodo.
Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea che, chiamata a intervenire dalla Corte d’Appello del Tribunale di Genova, a cui si era rivolta una donna ecuadoregna residente nel capoluogo ligure la quale aveva intentato causa contro l’Inps per l’ottenimento dell’assegno famigliare, ha sentenziato: “I cittadini dei paesi non Ue ammessi in uno Stato membro ai fini lavorativi, a norma del diritto dell’Unione e del diritto nazionale devono beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini di detto stato”.
Dunque, l’Inps sarà costretto a pagare. L’interpretazione della Corte Ue, espressasi sull’art. 65 L.448/1998 dedicato all’assegno famigliare, rappresenta un punto a favore per gli immigrati richiedenti assistenza, non solo per quanto riguarda la possibilità di ricevere l’assegno famigliare, ma anche per tutti gli altri incentivi alla maternità previsti dalla legge nazionale, quali l’assegno di natalità, il buono nido, il voucher baby sitter.
Tra questi, tuttavia, il “bonus mamma domani” rappresenta il bonus più richiesto (già più di 100mila richieste) e, al contempo, un esborso molto oneroso per l’Inps che difatti ha cominciato a erogare il bonus in ritardo, soltanto a partire dalla metà di giugno scorso quando l’attivazione era stata prevista a partire dal 1° gennaio 2017. Si badi bene, prima della decisone della Corte Ue, le misure a sostegno della genitorialità, tra cui il bonus da 800 euro, non escludevano gli immigrati a priori: in osservanza, infatti, ai limiti predisposti dalla Legge di stabilità 2014, il bonus era permesso a tutti gli immigrati soggiornanti in Italia da almeno 5 anni, aventi un reddito superiore all’assegno sociale (pari a 5.824,91 euro), che dimostravano la conoscenza della lingua italiana.
La decisione della Corte Ue, tuttavia, ha allargato i confini d’interpretazione di tale norma, che ora risultano labili. Quali divengono i requisiti d’accesso al bonus mamme e ai principali incentivi famigliari? Basterà dimostrare di essere giunto in Italia “ai fini lavorativi”, indipendentemente dalla durata del periodo di soggiorno, per ottenere gli aiuti statali? La donna ecuadoregna di Genova, per esempio, aveva un permesso di lavoro superiore a sei mesi ma inferiore a cinque anni, insufficiente quindi a ricevere l’erogazione dell’assegno famigliare (il Tribunale di primo grado aveva infatti dato ragione all’Inps) prima dell’intervento della Corte Ue. Urgono precisazioni da parte dell’Inps, che nell’ultima circolare prodotta in materia (la n° 61 del 16 marzo 2017) prevedeva ancora la fruibilità del bonus mamma solo per i cittadini italiani, comunitari e le cittadine extracomunitarie in possesso del permesso di soggiorno Ue di lungo periodo (5 anni). Ora, però, il numero dei percettori è destinato ad aumentare sensibilmente. E così, le già preoccupanti difficoltà finanziarie dell’Inps a soddisfare puntualmente le richieste di tutti potrebbero aggravarsi.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta