La poesia dopo il calcinculo: “Mamma, non mi sentivo più l’anima”

“Mamma, non mi sentivo più l’anima. Neanche il corpo. Ero leggera”.

La poesia post-calcinculo di mia figlia mi ha sopresa una sera nel posto che meno abbinerei a versi ed emozioni: un raffazzonato luna park di riviera, ricavato in mezza a una pineta un po’ malandata.

In effetti, a pensarci bene, i luna park mi hanno sempre affascinata, anche se non ho mai capito il motivo: forse perché, dietro quelle luci e quei colori celano una tristezza che non so spiegare, creando uno di quei contrasti che tramortiscono.

Contrasti, invece, non ne ho notati sui prezzi, sempre troppo alti. Pur avendo depauperato il salvadanaio, dopo dieci minuti – tra il piccolo fissato con la giostrina e la grande con il calcinculo in cui ufficialmente, per età, potrebbe salire solo tra due mesi – avevamo già esaurito le riserve monetarie.

Eppure c’era ancora il flight simulator da provare, il gonfabile sul quale sarebbero volentieri saliti tutti e due, la pesca dei cigni di plastica in cui “si vince sempre” un peluche.

Se avessi assecondato le voglie dei miei figli, anche solo per sapere quali strofe avrebbe partorito la maggiore dopo le altre imperdibili attrazioni, avrei dovuto rinuniciare a fare la spesa.

“Mamma, possiamo tornare?”
“Okkei, però sul calcinculo salgo anche io, la prossima volta. Ci agganciamo come storiche amiche facendo le sceme, provando ad acchiapparlo davvero, quel coso a cui non si arriva mai”.

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