Per rinnovarle il contratto l’istituto cattolico le aveva dato una sorta di aut aut: o smentiva di avere una compagna e di essere lesbica, oppure perdeva il lavoro. Invece la donna, un’insegnante di educazione artistica, prima si è indignata (“Il problema non è se io sono o non sono lesbica. Il problema è che questo non deve assolutamente incidere in nessun ambito lavorativo”) poi si è rivolta alla magistratura che ha condannato l’istituto Sacro cuore, scuola paritaria di Trento a pagare una cifra di 45mila euro a titolo di risarcimento danni. In più altri 10mila dovranno esser sborsati alla Cgil e all’associazione Certi Diritti.
La Corte di Appello trentina, che ha depositato la sentenza l’8 marzo, il giorno della festa della donna, ha così confermato la sentenza di primo grado raddoppiando l’entità del risarcimento. Soddisfatta l’insegnante, che, attraverso il proprio legale, ha commentato così la sentenza: “Mi ritengo finalmente reintegrata nella mia dignità di docente e di donna. Nulla di peggio si poteva dire a un’insegnante se non che abusava del proprio ruolo per turbare i ragazzi. E sono anche contenta che in Italia si ribadisca che la vita privata di ognuna e ognuno è per l’appunto privata e che nessun datore di lavoro può entrare nelle nostre famiglie e chiedere chi siamo, chi amiamo o se vogliamo come donne abortire o meno”.
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