“Quattro aborti? Capita”. Lutto prenatale, la testimonianza di una mamma

abortoLa mancanza di tatto nei medici e nel personale ospedaliero in caso di lutto prenatale è un tema scottante, sul quale sono già in corso diverse battaglie, come quella delle mamme dell’associazione “In un battito” di Cento. Anna Zaniboni, la presidente, ci ha raccontato un solo ed emblematico episodio successo proprio a lei: il ginecologo che le doveva fare il raschiamento in seguito a un aborto spontaneo, prima dell’anestesia, le disse che l’intervento sarebbe stato molto semplice, un po’ come levare via la polpa del melone con uno scavino.

Anche L.G., 36enne mamma di Ravenna, sull’argomento ha parecchio da dire. Nel suo vissuto ci sono quattro aborti spontanei, avvenuti tutti nel primo trimestre di gravidanza, nel giro di sei anni. Momenti scolpiti nella sua memoria non solo per il dolore provato nel perdere un figlio tanto desiderato ma per la poca empatia trovata nei ginecologi che, di volta in volta, le hanno riscontrato l’assenza di battito cardiaco nel feto.

“Sull’argomento – ci racconta – ho davvero brutti ricordi. Come quando andai in pronto soccorso a Ravenna per una piccola perdita di sangue, al secondo mese di gravidanza, e la ginecologa di turno, durante l’ecografia, diagnosticandomi l’aborto mi disse di smettere di piangere, perché in fondo ero stata fortunata: molte donne nella mia situazione arrivavano in ospedale con emorragie serie. Io invece ero lì in perfetta salute, pronta per tornarmene a casa con le mie gambe. Ero al terzo aborto, lei non sapeva nulla delle mie condizioni psicologiche e fisiche e si permise di dire quella frase terribile, senza un briciolo di umanità. Tutte le volte che l’ho rivista, in seguito, mi sono tornate alla mente quelle parole agghiaccianti”.

Una situazione simile, L.G, l’ha sperimentata l’anno dopo, in occasione del quarto aborto: “Dopo una piccola perdita chiamai la mia ginecologa, che lavorava a Bologna. Mi disse di stare tranquilla e raggiungerla dopo le otto di sera in ospedale perché a quell’ora iniziava il suo turno in pronto soccorso ostetrico. Quando entrai nell’ambulatorio c’erano quattro o cinque persone, tra medici e infermieri, che sghignazzavano guardando il cellulare, come fossero al bar. Ricordo che si misero a parlare addirittura di cosa avrebbero mangiato per cena. Io venni chiamati nella stanzetta affianco, dove mi fecero l’ecografia accorgendosi che non c’era battito. Per me fu un momento terribile, il sogno del secondo figlio si allontanava sempre di più. Tornai nella parte dell’ambulatorio dove quel gruppo di persone continuava a ridere e fare schiamazzi. Erano a un centimetro da me, incuranti del fatto che quello fosse un momento privato mio e del mio compagno, che mi fosse appena stata una notizia terribile. Mi sedetti alla scrivania della ginecologa, che era intenta a scrivere al computer la mia diagnosi e la richiesta di raschiamento. Loro continuavano senza tregua a chiacchierare e scherzare. Una mancanza di rispetto totale”.

Senza contare quando L.G., il giorno dopo, all’ospedale di Ravenna venne ricoverata per il raschiamento: “Avevo già addosso il camice della sala operatoria quando la ginecologa di turno, nel guardare la mia cartella clinica, commentò ad alta voce: ‘Quattro aborti? Beh, succede. Non creda mica che si trovi sempre una spiegazione, spesso va così perché deve andare così’. E se ne andò”.

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