Obiettori di coscienza negli ospedali: un problema che è emerso in tutta la sua drammaticità dopo il caso della mamma morta con i suoi gemelli in ospedale a Cagliari. L’accusa che muovono i parenti, testimoni, è che il medico non sia voluto intervenire con l’aborto perché obiettore di coscienza.

Ci ha contattato Maria (il nome è volutamente di fantasia) una donna di 45 anni di Ravenna che dieci anni fa ha vissuto l’esperienza dell’aborto terapeutico all’ospedale di Ravenna. Maria ricorda quel momento con profonda angoscia: “Sono stata ricoverata dalla mattina alle 7.30 fino al giorno dopo. Ho dovuto aspettare fino alle 18 della sera, tra dolori e vagiti di neonati, che mi operassero, ricoverata nel reparto di Ostetricia”.

“Per fortuna in stanza ero da sola – spiega -. Ma sentivo tutto, dalle urla di chi partoriva ai pianti dei neonati. Avevo scelto di abortire perché la bimba che aspettavo aveva delle gravi malformazioni. Oltre all’angoscia profonda di quello che stavo affrontando si aggiungeva la pesantezza di dover condividere la gioia altrui in un momento che per me era di disperazione”.

Il ricovero programmato alle 7.30 aveva fatto pensare alla donna che sarebbe durato tutto poche ore. “Pensavo che per l’ora di pranzo sarei andata via invece sono stata chiamata dopo quasi dieci ore. Mi fu spiegato che quel giorno erano di turno tutti medici obiettori e avevano dovuto aspettare che iniziasse il turno un medico che non lo era. Accadeva dieci anni fa e non so come le cose siano cambiate, penso solo che ci vorrebbe più organizzazione e che un ospedale non possa permettersi di giocare sulla pelle delle sofferenze altrui per questioni di coscienza. Il medico di turno la mattina dopo, che mi visitò per le dimissioni, si scusò”.

Intanto su Change.org è partita la petizione che chiede di estromettere dalle strutture pubbliche i medici non obiettori. Per firmare si può cliccare qui