Sono le condizioni delle mamme, come l’età e il livello occupazionale, a incidere sula frequenza o meno dei figli al nido. I padri, come emerge dalla ricerca nata da una collaborazione tra l’Università di Modena e Reggio Emilia e la Regione Emilia-Romagna, non influenzano granché. Manuel Reverberi, uno dei prof coinvolti nello studio sui servizi per l’infanzia del territorio, come primo dato mette in evidenza, negli ultimi anni, un calo di partecipazione ai servizi, dovuto in parte al calo di natalità e in parte al cambiamento di composizione degli utenti poiché gli stranieri – che pure fanno più figli – tendono a partecipare di meno. Lo ha spiegato al portale Emilia-Romagna Sociale.
“E’ interessante notare, in generale, che nella partecipazione o meno ai servizi incidono tutte le variabili che hanno a che fare con le madri. Questo conferma che il lavoro di cura ricade quasi tutto sulle donne“.
Da segnalare anche la disomogeneità della presenza dei servizi sul territorio regionale: “C’è una quantità più elevata di servizi nelle zone urbane e dell’immediata cintura e minore nelle zone di montagna, dove i Comuni spesso sono molto piccoli e ci sono distanze maggiori, ma anche abitudini e rapporti sociali diversi con una rete più fitta di aiuti familiari. E poi i servizi si vanno diradando verso i confini della regione: nella provincia di Parma e Piacenza e nel Riminese. Quasi la metà dei Comuni del Piacentino è priva di servizi per l’infanzia, magari sostituiti da altre tipologie di aiuti alle famiglie. Questo per fattori in primis culturali – a Reggio Emilia, Modena e Bologna i servizi per l’infanzia godono di una fortissima tradizione – e poi, anche in questo caso, per l’inferiore tasso di occupazione femminile”.
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