NeonatoSi sono messi in gioco come categoria di medici ostetrici, lanciando anche una riflessione sul fatto che chiudere i punti nascita con meno di mille parti all’anno, se il personale è competente e le strumentazioni sono all’avanguardia, non è per forza una scelta adeguata. Sono i ginecologi, e non solo, coinvolti nella restituzione di una ricerca unica in Italia condotta dal direttore della Struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia del Policlinico di Modena Fabio Facchinetti. Uno studio che ha preso in esame i 2.500 bambini nati in Emilia-Romagna, tra il 2014 e il 2015, tra la 34esima e la 37esima settimana di gravidanza. Quelli che, tecnicamente, vengono chiamati “late preterm”.
Professore, quali sono le caratteristiche di questi “prematuri quasi maturi”?
“Sul 7% dei bambini prematuri nati in Italia, il 5% appartiene a questa categoria. Sono bambini che, non rischiando la vita, rappresentano i casi meno gravi. Ma, anche perché numericamente rilevanti, meritano la nostra attenzione: sono bimbi più fragili, che all’inizio hanno problemi respiratori e di equilibrio del metabolismo, essendo speso ipoglicemici. Hanno, insomma, una fase di adattamento alla vita più lenta e complessa rispetto ai bambini maturi”.
Che cosa avete scoperto di diverso rispetto alle aspettative?
“Non ci aspettavamo che la metà di queste nascite sono determinate da noi medici, come cesarei o come parti indotti. Sono molte e questo dovrà spingerci a interrogarci sul fatto che sia sempre giusto non aspettare un po’: se si nasce alla 36esima settimana poco importa, se si nasce alla 34esima o 35esima è molto diverso. Forse dobbiamo avere un atteggiamento più conservativo, chiederci una volta in più se non sia giusto rimandare il parto, sempre che le condizioni lo consentano. Bisogna, insomma, bilanciare meglio i rischi, facendo uno sforzo di portare le gravidanze al raggiungimento della 36esima settimana almeno”.
L’altra grande questione riguarda il dove si nasce: in che senso?
“Ci siamo chiesti se a 34 settimane si può nascere ovunque. La risposta, probabilmente, è no. Finora si è creduto genericamente che sia meglio partorire dove di parti se ne registrano più di mille all’anno. Io sostengo, invece, un approccio più sottile: non conta la quantità, conta anche la qualità. Bisogna nascere dove ci sono persone preparate e strumentazioni in grado di assistere chi nasce prima del termine. Stiamo parlando di gravidanze, fino a prova contraria, ancora considerate a rischio”.