Se nel mondo i dati sull’educazione e l’istruzione delle bambine e della ragazze sono sconfortanti (63 milioni sono fuori dalla scuola), in Italia la situazione è per così dire ribaltata: le femmine sono quelle che proseguono di più, rispetto ai maschi, gli studi. E, sul totale delle persone laureate, fanno la parte del leone. Lo dirà questa sera Chiara Lugarini, tutor alla cattedra di pedagogia interculturale all’Università Milano-Bicocca, durante l’incontro “Donne e bambine in educazione: a scuola di libertà” in programma alle 18 al Dock 61 di Ravenna (via Magazzini Posteriori) nell’ambito del Festival delle culture. All’incontro partecipano anche Anna Maria Piussi, docente di pedagogieae differenze sessuali all’Università degli studi di Verona, la media educator Deborah Bandini e l’insegnante Luana Vacchi, in rappresentanza della Casa delle donne.
Professoressa, in Italia le bambine studiano meglio e di più: un dato per forza positivo?
“No, se pensiamo che certi stereotipi sono duri a morire: il fatto che i maschi si dedichino di più agli studi scientifici e informatici e le femmine a quelli letterari non è certo una questione di predisposizione genetica ma di condizionamento culturale. Idem se guardiamo al più alto tasso di abbandono scolastico dimostrato dai maschi: chi l’ha detto che su di loro non agisca il luogo comune secondo cui, essendo quelli che portano a casa il pane, devono iniziare presto a lavorare? Ci sarebbe molto da riflettere. La scuola italiana, se sul fronte dell’immigrazione è stata in qualche maniera costretta a ragionare, su quello dell’educazione di genere non ha ancora fatto lo scatto necessario”.
Che cosa ne pensa, a proposito, dei grembiuli differenziati per maschi e femmine?
“A Milano, in molte scuole si usa il grembiule monocolore blu scuro, sia per le bambine che per i bambini. Mi sembra una scelta più opportuna. Anche attraverso il tipo di abbigliamento, infatti, si possono veicolare dei messaggi stereotipati, soprattutto in contesti piccoli e provinciali. Nelle realtà più grandi, vista la complessità delle differenze culturali, economiche e sociali, è già più difficile farsi condizionare”.
Appiattire le differenze o valorizzarle: che cosa fa la scuola italiana?
“Difficile generalizzare. Dico solo che, nel momento in cui il bambino o la bambina vengono messi al centro come portatori di diritti, il che non significa lasciare loro la possibilità di comportarsi come credono in classe, ecco che si crea un contesto educativo nel quale le singole individualità sono libere di esprimersi”.
In questo senso, qual è la sfida più grande che il sistema dell’istruzione ha davanti rispetto al fenomeno migratorio?
“La scuola deve prima di tutto individuare le strategie per un’accoglienza reale, con soluzioni pratiche per superare le barriere linguistiche. Poi, vanno messe a punto relazioni positive tra la scuola, il territorio e le comunità di migranti. Infine, questo lo scoglio più duro, gli insegnanti devono accettare di rivedere la propria didattica”.
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