“Per fortuna che è uguale a te!” Esclama Marco a Francesca quando vede Andrea per la prima volta, il loro bambino, nato dopo un parto cesareo. Andrea non assomiglia per niente a Marco, proprio non potrebbe, perché è nato da una fecondazione eterologa. “Prima che arrivasse Andrea ho avuto quattro aborti spontanei – racconta Francesca – e una serie interminabile di indagini e analisi di vario tipo”.
Francesca 26 anni e Marco 28 anni, di Ravenna, perdono il loro primo bambino, a causa di un aborto spontaneo, nel maggio 2010. “Ero rimasta incinta in un battibaleno – spiega Francesca – che quando l’ho perso, pochissimi giorni dopo aver fatto il test, ho pensato che fosse una cosa che accade abbastanza di frequente”. Quando nell’ottobre dello stesso anno si ripete nuovamente una situazione simile, decidono di fare dei controlli per capire se c’era qualche problema. “Marco si è sottoposto a un’analisi di mappatura genetica e abbiamo scoperto che è affetto da una malformazione genetica che prende il nome di ‘traslocazione cromosomica bilanciata’ poi da uno spermiogramma fatto successivamente abbiamo scoperto che di questa malformazione ne sono affetti più della metà degli spermatozoi”. Si tratta di una malattia che fa sì che quando i 46 cromosomi di lui si dividono in due catene da 23 per unirsi a quelli di lei (formando il corredo cromosomico del bambino), una delle coppie risulta praticamente ‘zoppa’ perché un pezzetto di un cromosoma si unisce a un altro posto più avanti, provocando la morte dell’embrione.
Marco e Francesca prendono anche in considerazione l’idea di adottare un bambino, perché sanno che la probabilità di avere un figlio tutto loro è abbastanza scarsa. “Ci abbiamo pensato all’adozione – sottolinea Francesca – ma il nostro grande desiderio era quello di veder nascere un bambino in questa casa”. La coppia si rivolge allora ad una clinica di riproduzione di Bologna. Francesca è sottoposta a una terapia ormonale per aumentare la produzione di ovociti che poi le vengono prelevati e Marco nel frattempo depone il liquido seminale per tentare una fecondazione in laboratorio. “Mi hanno prelevato undici ovuli, se ne sono fecondati dieci, strada facendo ne sono morti tre e dei sette rimasti tutti erano affetti da traslocazione cromosomica pertanto non è stato eseguito nessun impianto. In seguito abbiamo tentato altre due volte con una gravidanza spontanea, ma ho subìto altri due aborti. L’ultimo risale al settembre del 2012. Ero distrutta e il nostro rapporto stremato”.
Il 2013 è per la coppia un anno particolare “sabbatico” lo definisce lei, nel quale vivono distanti e ognuno preso da nuovi interessi e attività. “A casa eravamo diventati come due inquilini poco collaborativi. Il non voler sentire il dolore dell’altro ci ha portato ad allontanarci. Io che sono un tipo estroverso mi ero riempita di impegni e nuove amicizie, Marco invece che è completamente diverso da me, si era chiuso in un enorme silenzio. Lui si sentiva in colpa e nello stesso tempo non voleva farsi vedere debole. Insomma tutto stava andando malissimo”.
Ma ad un certo punto i due si rendono conto che le cose non possono continuare così e di comune accordo (“non mi ricordo veramente chi è stato a fare il primo passo”) decidono di farsi aiutare. Vanno da uno psicologo. “In quell’anno di psicoterapia capii che volevo stare con Marco più di qualsiasi altra cosa e lui cambiò molto, ha cominciato a parlare e ad aprirsi con me. Finalmente era di nuovo bello tornare a casa la sera”.
Ed è così che nell’ ottobre del 2014, Marco e Francesca cominciano l’iter per l’inseminazione eterologa in una clinica svizzera, dove lavorava lo stesso medico che li seguiva a Bologna. “Abbiamo deciso di andare a Lugano perché lì sono all’avanguardia per quanto riguarda la fecondazione eterologa”. Tra colloqui con la psicologa, analisi e cure ormonali passa ancora del tempo. “Ci hanno fatto tantissime domande, perché dovevamo ottenere l’idoneità. Inoltre hanno raccolto accuratamente una serie di informazioni su Marco, dal numero di scarpe alla forma delle sue mani. Le avrebbero usare per scegliere un donatore il più possibile simile a lui”.
Nel febbraio 2015, Francesca è pronta per il prelievo degli ovociti. “Nel frattempo hanno scoperto che avevo le tube chiuse, quindi i medici hanno optato per una fecondazione in vitro”. Ma purtroppo, a 20 giorni dalla fecondazione, la coppia scopre che l’embrione non aveva attecchito. “Le beta hcg non erano salite per niente. E’ stato terribile, tutti quegli sforzi, la sofferenza. Tutti i nostri progetti svaniti nel nulla”.
A giugno provano nuovamente. “Questa volta eravamo ancora speranzosi, ma direi, molto frenati. Siamo andati in Svizzera quasi come a far una gita”. E invece le analisi del sangue risultano positive e quelle dopo anche. A luglio la prima ecografia. “Quando abbiamo sentito il battito per la prima volta, non ci potevamo credere”. La gravidanza procede molto tranquillamente fino al parto, che è un cesareo, perché Andrea di nascere non ne aveva voglia. E’ nato infatti qualche giorno dopo il termine. “Prendere in braccio Andrea è stata la cosa più emozionante che io abbia mai provato. Mio marito ama nostro figlio di un amore smisurato fino a essersi dimenticato di tutto. Se lo fa portare ogni giorno in ufficio in pausa pranzo. A volte mi chiedo se sarà sempre così, oppure se un giorno cambierà e soffrirà per il fatto di non essere il padre biologico”.
Inoltre i due neo genitori si interrogano sul raccontare in futuro ad Andrea la verità sul suo concepimento. “I dubbi che ci vengono nel dirglielo sono fondati, ma di certo non ci logorano il cervello. E’ una gioia per tutti questo bambino. I nonni sono impazziti di felicità e nessuno si sofferma a pensare a chi appartiene il seme che ci è stato donato. L’altra sera ho sentito Marco chiedere ad Andrea se vorrebbe una sorellina. Abbiamo ancora due ovuli a Lugano. Una sola possibilità. Credo proprio che, passato il tempo necessario per far guarire internamente il cesareo, ci faremo un altro bel viaggio”.
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