
Quando ha scritto su Facebook un post sulle adozioni, lo scorso 29 febbraio, Stefano Di Cesare non si aspettava certo che diventasse virale, condiviso oltre 4.400 volte. Dopo la pubblicazione, ha ricevuto centinaia di messaggi e si è visto costretto a bloccare le richieste di amicizie. Non tutti, ovviamente, hanno apprezzato le sue posizioni: “C’è chi ha commentato che, se fossi stato adottato da una coppia omosessuale, non sarei diventato di certo la stessa persona. Ovvio, le esperienze della vita ti cambiano. Ma non necessariamente sarei stato una persona peggiore”. Stefano ha 29 anni, vive a Chieti e il suo messaggio è che il diritto di ogni bambino è essere amato per imparare, a sua volta, ad amare.
Stefano, sei stato adottato a 12 giorni di vita. Quando hai scoperto che i genitori con cui vivevi non erano quelli che ti avevano messo al mondo?
“Ho ricordi molto sfocati in questo senso. Ricordo solo che un giorno, quando ancora ero bambino, me l’hanno detto. Ma non ho avuto reazioni particolari, è stato un momento molto tranquillo. Del resto non avevo e non ho ricordi di una vita precedente, ho sempre vissuto con quella mamma e quel papà. La loro si chiama adozione solo perché sono nato dal corpo di un’altra donna, tutto qui. La sostanza dei fatti non cambia, sono loro ad avermi cresciuto”.
Che ricordi hai di quando eri piccolo?
“Sono figlio unico, ho sempre avuto tutto, sono stato viziato. I miei genitori, all’epoca del matrimonio, si erano promessi di adottare, un giorno, un bambino. Il fatto che non siano poi riusciti ad avere figli in maniera naturale è stato un caso, lo hanno scoperto solo dopo”.
Ti sei mai sentito diverso?
“A scuola qualche volta sono stato preso in giro. Ma non ho mai sofferto per questo, la parola ‘adottato’ non mi scalfiva più di tanto. Mi sentivo originale, facevo della mia diversità un punto di forza”.
Il tema della ricerca delle proprie origini inquina spesso il dibattito su questi argomenti, è successo anche di recente parlando di gestazione per altri, quella che volgarmente viene chiamata maternità surrogata. Tu cosa conosci, delle tue origini?
“Quasi nulla. So che ad avermi partorito è stata una ragazza madre, tutto qui. D’estate mi abbronzo molto e i miei lineamenti possono far pensare a qualche origine sudamericana, chissà. La curiosità rispetto alla mia storia, che ogni tanto si fa sentire, non si è mai trasformata in un’ossessione tale da spingermi a mettermi a cercare. Capita che mi venga il pallino ma dopo mi passa. Se ne sentissi il bisogno, comunque, i miei genitori sarebbero pronti ad aiutarmi e sostenermi”.
Quando si parla di adozione o in generale di maternità e paternità, che sensazioni provi?
“Credo che molta gente parli a sproposito e in queste settimane questo è emerso in modo plateale. Anche da molti dei miei concittadini ho sentito una serie infinita di stupidaggini sul tema. Spesso si dimentica che iter lungo ed estenuante devono attraversare le persone che voglio adottare. E si perde di vista che un bambino, per crescere bene, ha bisogno di amore. Quale siano le caratteristiche, il sesso e l’orientamento sessuale di chi, quell’amore, glielo dà, è davvero irrilevante. La mia è una storia adottiva felice, ne sono consapevole. Ma questo discorso credo sia universale”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta