Una bambina nata contro la volontà dei suoi genitori. Che adesso fanno causa all’ospedale. La storia, pubblicata dal quotidiano La Stampa, risale al 2001, quando una coppia che viveva in provincia di Alessandria – lui operaio e lei dipendente di una impresa di pulizie, entrambi più che 40enni e con un figlio già grande – decise di interrompere la gravidanza arrivata a sorpresa e contro ogni progetto, tra l’altro scoperta durante la diagnosi di un fibroma.
Il raschiamento eseguito all’ospedale di Alessandria, però, non andò a buon fine: l’embrione rimase infatti attaccato all’utero della madre che scoprì di essere ancora incinta durante un’altra visita, quando ormai la gestazione era arrivata alla 21esima settimana e, per legge, non era più possibile abortire.
La nascita della bambina ebbe contraccolpi pesanti sulla vita della famiglia. Il padre si licenziò per incassare il Tfr e trovò un lavoro nuovo a centinaia di chilometri di distanza, dove l’intera famiglia fu costretta a traslocare. Secondo i coniugi, poi, quella nascita aveva causato sacrifici economici e rinunce. La causa si chiuse con una transazione e un risarcimento alla donna.
Ma nel 2008 anche il padre decide di andare per le vie legali, convinto di avere subito un danno psicofisico dalla indesiderata nascita. Il giudice di primo grado, ad Alessandria, ha respinto la richiesta e lo stesso ha fatto la Corte d’Appello, ritenendo non sia stato provato concretamente che l’uomo volesse davvero che la moglie abortisse. E ora si va in Corte di Cassazione.
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