Nel giorno della festa della donna è opportuno ricordare alcune cifre che fanno riflettere sull’occupazione femminile. La Commissione europea nel 2012 ha calcolato che la presenza delle donne ai vertici delle principali società europee è di appena il 13,7%. Di questo passo ci vorranno ancora 40 anni per raggiungere un equilibrio di genere accettabile (entrambi i sessi rappresentati per almeno il 40%). Eppure l’equilibrio di genere ai vertici aziendali incide positivamente sulle prestazioni delle imprese, sulla competitività e sui profitti. In uno studio della McKinsey si legge ad esempio che le società con rappresentanza paritaria realizzano profitti del 56% superiori rispetto a quelle a conduzione unicamente maschile. Un’analisi condotta da Ernst & Young sulle 290 principali società quotate in borsa mostra poi che le imprese con almeno una donna nel consiglio di amministrazione realizzano utili decisamente più elevati rispetto a quelle in cui le donne sono del tutto assenti dai vertici aziendali.
L’Italia non fa eccezione, anzi. L’unico dato confortante viene proprio dalla Romagna, da Ravenna. Secondo una delle ultime statistiche disponibili (elaborazione ufficio studi Confartigianato su dati Istat), la provincia è la prima in Italia con la più bassa percentuale di donne inattive, il 30,7%. Ma la città bizantina, dove è stata fondata Romagna Mamma, purtroppo è la classica eccezione che conferma la regola. Il rapporto Istat 2014 afferma infatti che il nostro Paese “si caratterizza per un basso livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro testimoniato da un tasso di occupazione delle donne di 15-64 anni che, nel 2013, si attesta al 46,5 per cento, 12,2 punti in meno rispetto al valore medio dell’Unione europea a 28 Paesi”. In particolare in Italia, dice sempre l’Istat, “è in part time involontario” quasi una madre su due. Malissimo, dunque. Le province dove ci sono più donne inattive si trovano tutte al Sud e la percentuale oltrepassa il 70%. Sette donne su dieci a Crotone, Napoli, Foggia, Caltanissetta non sono occupate. Un dramma sociale. C’è ancora da fare festa in questo 8 marzo?
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