“La mamma è una principessa, vive nel castello”. Ma è il carcere di Forlì

carcere“La verità, ai bambini, non la racconta quasi nessuno. Si dice loro, per esempio, che la mamma è una principessa e vive in un castello. O che il papà aiuta le persone malate e quindi non può mai uscire”. Lisa Di Paolo è una delle volontarie di Con Tatto, una delle quattro associazioni che nel 2010 hanno creato lo “Spazio Famiglia” all’interno del carcere di Forlì: l’unico, in Romagna, ad avere anche una sezione femminile. Sono giorni di festeggiamenti: il progetto è stato infatti scelto a livello europeo come buona pratica a favore delle famiglie dei detenuti. E i ragazzi di Forlì – tutti intorno ai 25 anni – andranno a metà novembre a Bruxelles a presentare la loro esperienza.

Nel concreto, lo “Spazio famiglia” consiste in due stanze dove le famiglie dei carcerati possono permanere prima dei colloqui (sei ore al mese), ricevere informazioni, trovare un supporto emotivo, fare due chiacchiere, avere una sorta di “cuscinetto” prima delle sbarre, di quella stanza bianca e asettica munita solo di tavolini vuoti, dove incontrare una madre, un padre, una sorella, uno zio. “Può sembrare una banalità – spiega Lisa Di Paolo – ma l’esigenza di dispore di uno spazio ad hoc è sorta perché le famiglie, molto spesso provenienti da fuori Forlì, si ritrovavano ad aspettare fuori dai cancelli del carcere, quasi per strada, in una zona oltretutto abbastanza centrale della città. Un problema che sia i volontari che già operavano dentro la casa circondariale, che Comune, Questura e Prefettura avevano segnalato”.

Da quando lo “Spazio” è stato attivato, si è pensato subito anche ai più piccoli: “Non mancano mai i bambini. E così abbiamo allestito una zona con giocattoli e tavoli per colorare. Circa una volta al mese, insieme all’associazione Vip Clown di Forlì, organizziamo quella che noi chiamiamo festa. Si tratta di due ore di colloquio aggiuntive, che si tengono all’interno della palestra, dove si preparano giochi e palloncini per i bambini in età 0-12 anni. Un ambiente più confortevole e naturale dove i piccoli possono incontrare la mamma o il papà”.

Un’esperienza che ha addolcito anche gli stessi agenti di polizia penitenziaria: “Quattro anni fa era normale vedere uno schieramento di quattro poliziotti sulla porta della palestra. Ora è normale vedere qualcuno di loro tenere il fazzoletto per giocare a ruba bandiera. O mettersi a fare il portiere nella partitella di calcio. Abbiamo, nei fatti, implementato quella che viene chiamato la ‘circolare del sorriso’, un’indicazione ministeriale a fare in modo che, nella relazione con i familiari dei detenuti, gli agenti utilizzino di più lo strumento del sorriso”.

Che serve a tutti. Bambini soprattutto: “Il disagio maggiore vissuto dai più piccoli riguarda il non capire dove si trovano o perché si trovano lì. Un problema grosso: nascondere loro la verità spesso è fuorviante. Qualcun altro, al di fuori del carcere, racconterà di certo loro come stanno le cose. E c’è anche un problema fisico: quando vengono perquisiti per andare a colloquio, i bambini si sentono violati. Distrarli, farli giocare, serve. Ma nel momento in cui capiscono dove stanno per andare, molti si innervosiscono e piangono”.

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g