Una lettera al vetriolo, senza mai alcuna citazione. E’ quella pubblicata stamattina sul Giornale da Anna Maria Bernardini De Pace, ex suocera di Raoul Bova. L’attore, come raccontato dalle cronache rosa già da tempo, ha lasciato sua moglie. Questo documento ha scatenato un putiferio sul web ma, pur essendo estremamente allusiva, contiene delle imprecisioni. Volute probabilmente dall’autrice la quale, evidentemente, non poteva non sapere che la figlia e l’attore hanno avuto due figli maschi e non la femminuccia a cui si fa riferimento nel testo. Si avanza dunque il sospetto che si tratti di una trovata per pubblicizzare il nuovo libro della stessa Bernardini De Pace. In ogni caso, ne proponiamo una parte, con il link alla fonte originale per proseguire la lettura.

Caro genero,

mi sai indicare il momento in cui da genero devoto sei diventato degenero? Forse quando hai giurato sulla tua bambina che non avevi tradito mia figlia, o quando, molto tempo prima, in segreto, l’avevi già tradita? O giorno per giorno, progressivamente, quando hai cominciato a snocciolare bugie, a trascurare la famiglia, a lamentarti di ogni cosa, a fingere una crisi esistenziale? O ancora prima, quando hai deciso di sposarti senza conoscerne le responsabilità?

La verità soprattutto, per piacere. Lo so che ti sto sui nervi perché sono diventata un occhio giudicante, come ami dire per difenderti e attaccarmi insieme. Ma ti pare che io, la mamma di tua moglie, la nonna della mia adorata nipotina, la persona che vi ha curato la bimba ogni giorno finché tu non hai guadagnato abbastanza da permetterti finalmente una tata, non abbia il diritto di ragionare, criticare e mettere in ordine ciò che è successo?

Il mondo devastato cui hai dato vita coi tuoi comportamenti, merita sicuramente un’indagine di conoscenza e un giudizio risolutivo, se non altro per essere archiviato, e tu con lui, per farlo sparire dalla vita della tua famiglia, che considero meritevole di ben altre cifre espressive. La loro vita però, non la tua che sembra trovarsi a suo agio nella palude piagnucolosa e frivola in cui l’hai collocata.

Il giusto obiettivo, dunque, è stato sempre, e lo confermo ora – ma pure tu eri d’accordo, quando se ne parlava a proposito dell’educazione di quella bimba che porta il mio nome per tua precisa volontà – quello di abbeverarsi di chiarezze, cibarsi di fatti obiettivi, essere consapevoli degli impegni assunti. Poi valutare, scegliere, decidere. Anche sacrificarsi, se necessario.

Rischiare, in tal modo, persino di avere torto, di mettersi in discussione, di soffrire. Comunque sia, la verità è un valore di per sé. È anche prova sistematica di coraggio, il coltivarla. E la responsabilità è irrinunciabile, quando non si può più ragionare con l’«io», ma si deve rispettare il «noi». 

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