Alla scuola materna la bambina si autolesionava, si masturbava in maniera compulsiva e a volte entrava come in trance. Quando Ester Di Rienzo, psicologa del Centro di aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia di Roma l’ha vista la prima volta, la bambina si è buttata per terra dicendo “sono morta”. E ha aggiunto che sì, ogni tanto moriva per poi rinascere, come Biancaneve. Nel corso di un altro colloquio, invece, non ha fatto altro che miagolare: “Allora le ho dato un foglio – ha raccontato ieri la psicoterapeuta durante il convegno “La violenza maschile nelle relazioni intime” organizzato a Ravenna da Femminile Maschile Plurale e Dalla Parte dei Minori – e lei, che nel frattempo aveva iniziato la scuola elementare, ha scritto le frasi ‘Sono una gattina’, ‘mi uccide’, ‘ho perso la voce’. Abbiamo con il tempo capito che, fin da piccolissima, assisteva alle botte del padre sulla madre ed era lei stessa vittima di violenza da parte dell’uomo”.

Ma non è sempre facile cogliere i segnali di un abuso e interpretarli: “Ricordo quando incontrai gli psicologi della Asl. Mi dissero che poteva trattarsi di un caso di grave psicosi, visto che la bambina spesso entrava in una sorta di paralisi, bloccandosi. Il rischio, a volte, è di liquidare situazioni che non sono psichiatriche in senso stretto ma che hanno a che fare con un maltrattamento”. Ester Di Rienzo sa infatti che quando il trauma è troppo forte, alcuni bambini escono da loro, immaginando di essere da un’altra parte. Qualche esempio? “Per sopravvivere all’impotenza, una bambina di 12 anni ha raccontato che i suoi cani la difendevano, una di cinque che aveva al suo fianco leoni magici potentissimi, una di quattro che andava in Brasile”. La bambina in questione, invece, diceva che lei moriva ogni volta ma che poi si risvegliava grazie all’acqua benedetta: “Abbiamo poi capito che si trattava dell’acqua che la mamma le dava da bere nel biberon dopo le violenze”.

Quella bambina, durante gli incontri al CABMF, è stata invitata spesso a disegnare: ma sui fogli, in genere, preferiva lasciare parole. Come la volta in cui ha scritto “mi sta uccidendo”, oppure “porca puttana, stronza, bastarda queste minacce le ha dette a me” o ancora “papà sta uccidendo la mamma dieci ore”. Non solo: ha raccontato che il papà staccava la testa alla mamma, che lei durante quegli episodi piangeva e urlava. “Il fatto che il padre potesse davvero riuscire ad uccidere la madre era la sua paura più grande – ha raccontato Di Rienzo – e quando la mettemmo in casa-famiglia, visto che senza protezione non sarebbe stato possibile attuare l’intervento, il suo timore si fece ancora più forte, visto che era stata allontanata dai genitori”.

Genitori di cui uno, il padre, abusante e l’altra, la madre, vittima: “Il nostro lavoro non è solo conoscere lo stato del genitore maltrattante ma anche di quello che non ha saputo dare protezione al bambino”. Bambino che a sua volta vive dentro sé una profonda spaccatura: “In molti casi il genitore che deve dare protezione al figlio è lo stesso dal quale il figlio sente di doversi difendere. Pensate che conflitti si creano nella testa di un bambino. Senza contare che le violenze, per chi viene abusato, sono la normalità. E finché qualcuno di esterno non percepisce segnali anomali, non emergono”.