L’autismo è irreversibile, dall’autismo non si guarisce, l’autismo è una condanna per sempre. E invece no. Chiedetelo a Christina Caflisch, che ha scardinato ogni certezza dopo che alla figlia Lisa fu diagnosticata proprio una forma di autismo. Nel suo libro “Il cubo di marzapane” (Edizioni Kappa) racconta una storia da fare accapponare la pelle. Perché grazie ad una determinazione e una forza che l’hanno spinta ad andare controcorrente, oggi Christina può dire che Lisa dall’autismo è uscita. All’età di 45 anni, Lisa ha una vita “normale”: si è sposata e lavora come maestra d’asilo a tempo indeterminato. Non solo: “Mia figlia sta recuperando il tempo perso. Tutto quello che non è riuscita a fare quando era piccola, lo sta facendo ora. Per una madre è la soddisfazione più bella, più commovente”.
Christina, lei che ha scelto di fare di testa sua, voltando le spalle alla medicina tradizionale, ce l’ha con i medici?
“No, non ce l’ho con nessuno. Generalmente si segue una linea, una scuola di pensiero e non si va oltre. Ma nel mio libro ho scelto di non fare polemica. Racconto la mia esperienza, porto avanti il mio messaggio”.
Qual è?
“Bisogna cambiare il punto di partenza. L’autismo non è un problema psichico, è neurologico. Alcuni neuroni a livello occipitale sono alterati. E con le terapie riabilitative si possono migliorare alcune o tutte le funzioni”.
Chi glielo fece capire?
“Carl Delacato, uno psicologo italo-americano di cui lessi i libri. In quelle pagine trovavo descritti molti dei comportamenti di Lisa. Mi si aprì un mondo davanti. Era come avermi consegnato un codice di comportamento per affrontare il problema di mia figlia. Da Delacato poi andammo in visita: diagnosticò un autismo medio grave. Lisa aveva già tredici anni”.
E vi prescrisse una terapia?
“Per quattro anni, per diverse ore al giorno, svolgevo con Lisa e i suoi fratelli più grandi un programma di esercizi molto particolare. Lisa era un’ipertattica assoluta: da neonata prenderla in braccio la faceva urlare, nutrirla era deleterio, non sopportava il contatto con qualsiasi cosa, soprattutto a livello della bocca. Darle da mangiare, durante i suoi primi mesi di vita, fu impossibile: rifiutava sia il seno che il biberon. Il primo bacio me l’ha dato a 18 anni. Uno degli esercizi era passarle il phon caldo, poi tiepido, poi freddo sul corpo nudo, poi strofinarla con un asciugamano ruvido, e ancora con la spazzola morbida che si usa per i neonati. Lo scopo era riequilibrare le sue percezioni”.
Molti genitori sostengono di accorgersi dell’autismo dallo sguardo del bambino, che è come perso nel vuoto: anche Lisa pareva guardare nel nulla?
“Sì, infatti io mi ero accorta che qualcosa non andava già da quando era nella culla. I classici pupazzetti che si appendono al lettino a lei non interessavano, non le suscitavano nulla. Se cambiavo un colore nel suo abbigliamento si metteva a urlare. Aveva una percezione visiva alterata”.
I medici, prima della diagnosi di Delacato, che cosa dicevano?
“Parlavano di ritardo mentale, prescrissero una terapia a base di psicofarmaci e consigliarono un percorso da uno psichiatra. Cosa che non abbiamo mai fatto”.
Lisa parlava, da piccola?
“Ha iniziato tardi a parlare ma era chiusa, preferiva stare in un angolo e ripetere gli stessi identici movimenti per ore. Un giorno mi disse che si sentiva come chiusa in un cubo con sette finestre, le inferriate e le tendine chiuse dall’interno. Così è riuscita a chiedermi aiuto. Ma io sapevo che quel cubo non poteva essere di cemento armato, che una porta aperta esisteva, era un cubo malleabile, di pasta morbida, di marzapane”.
Oggi Lisa non vive nessuno strascico della sua malattia?
“Rimangono cose piccole. Lisa non è più iperuditiva ma un giorno siamo entrate in Chiesa per un concerto e il volume alto ha dato fastidio. Però si è seduta, ha tirato fuori dalle tasche dei fazzoletti di carta e ne ha fatto delle palline da mettere nelle orecchie, come tappi. Sa gestirsi da sola”.
Gli altri suoi due figli, che nel libro si chiamano Chiara e Pierpaolo, come hanno vissuto questo incredibile pezzo di vita?
“Con grande partecipazione. Lisa voleva essere una bambina come gli altri, anche se non riusciva ad uscire dal suo mondo. I suoi fratelli sono stati il suo specchio, ogni giorno”.