Il 30% dei bambini dell’Istituto comprensivo Mameli di Marina di Ravenna a casa sente parlare almeno un’altra lingua oltre all’italiano. Il prossimo anno, quando verrà inglobata anche la realtà di Lido Adriano, quella cifra salirà: lì, infatti, la percentuale in questione è del 65-70%. Nasce da questa lettura l’idea di Vittore Pecchini, dirigente scolastico di origine argentina che ha passato una vita all’estero, di offrire un’opportunità per non disperdere un patrimonio così ricco e importante.
Come si chiama il progetto che avete appena lanciato?
“Si chiama ‘Parliamo la stessa lingua’. Abbiamo creato un gruppo di spagnolo, uno di macedone e serbo-croato, uno di rumeno, uno di albanese e bulgaro. Un pomeriggio alla settimana, per due ore, ogni gruppo raduna i genitori e i bambini che vogliono mantenere viva la lingua di origine. Ma abbiamo richieste anche di altro tipo: persone che hanno studiato spagnolo e lo vogliono rinfrescare, altre che hanno i nonni di origine dalmata e sono interessati a recuperare quell’identità”.
A chi avete affidato questa attività extrascolastica?
“Ad alcune associazioni come Terra Mia, l’Antenna Italiana nel Mondo e Amici del Mameli. Con loro stiamo ragionando sul da farsi: nei gruppi in cui emergerà un bisogno di apprendimento linguistico, si potranno fare delle vere lezioni. In altri ci si potrà dedicare a chiacchiere e storie. Ma stiamo anche pensando di inserire la cucina, visto che abbiamo un laboratorio dedicato. Gli argentini hanno proposto di portare i piatti di casa loro”.
Da quali teorie siete partiti?
“Siamo partiti da un ragionamento: il plurilinguismo è possibile. Non è un peso ma una ricchezza. Quello che ci interessa di più non è legato allo studio ma al patrimonio che molti bambini si portano dietro. E’ una ricchezza che non va buttata nel cestino ma tenuta viva, perché servirà a sviluppare delle competenze. Anche i bambini che sceglieranno un giorno di restare in Romagna, magari a produrre Sangiovese, avranno un vantaggio a conoscere altre lingue, soprattutto se ci sono cresciuti insieme”.
Capita che alcuni di loro non imparino la lingua dei genitori?
“Sì, alcuni non la parlano perché la negano, perché scelgono la lingua che li aiuta a mimetizzarsi. Mia figlia, che ha la madre straniera, a tre anni mi ha chiesto perché non è bionda. Sono i bambini i primi a fare queste domande. Ma alla lunga il mimetismo identitario non fa bene all’equilibrio psico-fisico. Noi dobbiamo aiutarli a non perdere la loro identità. Qui i bambini albanesi sono perfettamente integrati con quelli italiani. Ma non devono dimenticare da dove vengono i loro genitori”.
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