I personaggi? Al posto delle scarpe. Veronica e il teatrino dei piedi ad Happy Family

Le piante dei suoi piedi sono le facce dei suoi personaggi. Lunghi quanto le sue gambe. Veronica Gonzalez, anima e corpo della compagnia Teatrino dei Piedini, è l’unica erede della tecnica inventata dalla regista Laura Kibel. Originaria di Buenos Aires, è arrivata in Italia come burattinaia nel 2000 e una volta appreso il teatro dei piedi, non si è più fermata: tra le mete delle sue tournée il Brasile, la Corea del Sud, tutta l’Europa. Veronica sarà sabato 1 e domenica 2 marzo alla Fiera di Forlì per la manifestazione “Happy Family” dove a mezzogiorno proporrà il suo cavallo di battaglia, lo spettacolo “C’era due volte un piede”.
Veronica, il corpo è tutto nel tuo lavoro. Come reagisce il pubblico?
“I bambini hanno un rapporto molto più stretto con il loro corpo, non hanno pregiudizi e così le mie performance risultano buffissime. Gli adulti sono meno abituati a vedere utilizzare piedi e ginocchia in scena. Ma i miei spettacoli sono pensati anche per loro”.
Quali messaggi porti insieme ai tuoi pupazzi?
“Messaggi universali come la pace, l’amore, la cura per la propria terra. Temi che riguardano tutti, i grandi e i piccoli”.
Insieme a Laura Kibel sei l’unica, in Italia, autorizzata a fare teatro dei piedi: questa peculiarità ti consente di lavorare di più?
“Anche se ci sono state in passato brutte copie non autorizzate, devo dire che la qualità premia. Quando invento nuovi sketch, passo da Laura a Roma per gli ultimi ritocchi. Un lavoro di fino che costa tante ore di lavoro, considerato che oltre a inventare la storia, realizzo da sola pupazzi e costumi, dipingo le valigie di cartone che mi porto sempre dietro per le mie scenografie, scelgo le colonne sonore, che poi mi monta il musicista Gaetano Ferrara. Il nostro lavoro è molto apprezzato all’estero: sto preparando una tournée in Canada e dopo Happy Family parto per la Turchia”.
Merito di una maggiore sensibilità?
“Sicuramente, lo vedo quando propongo spettacoli dedicati agli adulti, in Austria come in Germania. Lì non pensano, come in Italia, che il teatro di figura sia solo per i bambini. Qui si fa una grande fatica a farlo capire alla gente”.
Con i più piccoli, invece, il linguaggio è più universale?
“Il mio spettacolo assomiglia al cinema muto, non c’è parlato, è solo gestuale. Questo non crea difficoltà all’estero, dove continuo ad essere chiamata”.
In Italia va peggio?
“Sì, negli ultimi anni i cachet si sono dimezzati. Mi salva la passione”.
Vivi a Forlimpopoli: sei mai tornata a Buenos Aires con il teatrino dei piedi?
“Sì, assolutamente. E nei miei viaggi c’è spesso anche Federico, il mio bimbo di tre anni. Sperimento su di lui la validità delle mie tecniche: crea già i suoi personaggi con i piedi”.

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