Si fa chiamare Sam, è un’infermiera pediatrica e ha tre bambini di quattro mesi, due anni e mezzo e tre anni e mezzo. Samantha Errani, torinese, potrebbe essere presentata in tanti modi: come una professionista che, negli ultimi sei anni, ha lavorato al St. George’s Hospital di Londra; come l’autrice del libro “Uno su dieci” in cui racconta la propria esperienza in terapia intensiva neonatale con il figlio di mezzo, che ha la sindrome di Prader-Willi, una malattia genetica rara; ma anche come la fondatrice di “Better call Sam“, una pagina Facebook in cui si mette a servizio dei dubbi dei genitori sui primi anni di vita dei bambini.
“Io e mio marito, insieme a Lorenzo, Leonardo e Luca, siamo tornati in Italia in marzo – racconta la donna – perché essere da soli, in un paese straniero, con tre bimbi piccoli di cui uno con problemi, non faceva più al caso nostro. Leonardo per fortuna sta bene, rispetto a quello che ci avevano paventato sta andando meglio: ha un ritardo psicomotorio, ancora non parla e ha appena iniziato a camminare. Ma non possiamo lamentarci troppo. Per quanto il suo arrivo sia stato una botta che non avevamo messo in conto, ci sta insegnando moltissimo. La sua nascita segna davvero un prima e un dopo nella nostra vita e nel nostro modo di essere. E negli occhi di Lorenzo, che aveva solo un anno quando se l’è visto arrivare a casa, c’è quello sguardo di normalità di cui abbiamo tutti bisogno: del resto, per lui è stato scontato dargli da mangiare con la siringa o vederlo con il sondino”.
Oggi Samantha ha una lucidità che due anni e mezzo fa, ovviamente, non poteva avere: “Da un giorno all’altro mi sono ritrovata da infermiera a utente della terapia intensiva neonatale. Avrei avuto bisogno di qualcuno che mi dicesse che avrei avuto bisogno di tempo, che avrei imparato a conoscere il mio bambino, qualcuno che mi supportasse. Scrivere il libro e dare una mano alle famiglie, oggi, è terapeutico anche in quel senso: serve a mettere ordine, ad accettare, a fare pace con le difficoltà della vita. Perché non posso certo pretendere che, ogni giorno, qualcuno abbia voglia di ascoltare la mia storia e il mio dolore”.
Le mamme e i papà che si rivolgono a Samantha, in ogni caso, le pongono questioni che non necessariamente hanno a che vedere con la disabilità: “Si parla di svezzamento, allattamento, sviluppo, malattie. Mi scrivono anche mamme di bimbi prematuri o donne che hanno vissuto il lutto perinatale. Temi delicati, di cui però c’è tanto bisogno di parlare. Con il tempo, ora lo so, anche le cose peggiori si trasformano e la luce in fondo al tunnel inizia ad intravedersi. In certi momenti la vita sembra finita, come quando ho saputo la diagnosi di Leonardo e oltre a doverci convivere ho iniziato a sentire i sensi di colpa verso Lorenzo, perché aveva solo un anno e io ero di continuo in ospedale con il fratellino, io che quel fratellino glielo avevo fatto perché giocassero insieme”.
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