Tumore all’ovaio, killer silenzioso: così verrà combattuto in Romagna

La mortalità è altissima perché spesso la malattia viene diagnosticata tardi ma nel nostro territorio “ci sono tutte le condizioni necessarie affinché cura e prevenzione siano efficaci e mirate”

Cinquemila nuovi casi in Italia nell’ultimo anno e una mortalità del 90%: questi gli inquietanti dati che riguardano una delle tipologie di tumore più insidiose perché invisibili, quello all’ovaio, che colpisce circa 12 donne su 1000. Un “killer silenzioso” perché non esistono indagini efficaci per la diagnosi precoce e di conseguenza mancano programmi di screening della popolazione. Nelle fasi precoci, inoltre, non provoca sintomi, e questo spiega l’80% dei casi diagnosticati in stadi avanzati.

Sebbene questo primo quadro faccia certamente paura, è importante notare che “in Romagna ci sono tutte le condizioni necessarie affinché la cura e la prevenzione siano efficaci e mirate”. Soprattutto grazie alla sinergia di esperti nei differenti campi che la malattia va a toccare: non solo la parte chirurgica e ospedaliera, infatti, ma anche quelle preventiva, psicologica, familiare ed affettiva, e sociale devono essere curate: “Solo mettendo insieme le conoscenze di diversi settori possiamo avere speranze di cura”. Questa la tesi sostenuta dalla presidente dell’associazione Loto Onlus Sandra Balboni, che mercoledì 15 gennaio a Forlì ha inaugurato la nascita del comitato territoriale. Il gruppo promuoverà attività di sensibilizzazione e prevenzione, oltre ad aiutare le donne colpite dal tumore ad essere informate ed aggiornate anche rispetto alle cure più recenti ed innovative.

I comitati di Loto Onlus sono presenti anche a Bologna, dove il gruppo ha la sede principale, a Parma e ad Ancona: l’intento è quello di estendersi ancora di più. “Centri come questo forlivese sono indispensabili: è fondamentale lavorare insieme ad altri settori e costruire una rete” spiega il dottor Claudio Zamagni, direttore dell’unità operativa Oncologia Medica al policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. Soddisfatta della collaborazione anche la direttrice del reparto di ginecologia ed ostetricia dell’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì, la dottoressa Angela Bandini: “Non nego che le difficoltà ci siano state e restino, siamo una equipe ristretta e vogliamo fare molto di più. Però, va detto, siamo stati bravi”.

I risultati positivi tardano ad arrivare: sebbene le donne che si sono ammalate tra il 2011 e 2015, secondo i dati, abbiano conseguito risultati leggermente migliori delle coorti precedenti, infatti, il tumore dell’ovaio resta ancora quello con il più alto tasso di mortalità. “La lotta è dura, ma con l’aiuto di tutti possiamo davvero fare meta -ricorda Balboni – e significa non solo dei cittadini ma anche degli specialisti: per questo noi lavoriamo a strettissimo contatto con il polo ospedaliero, con gli psicologi, con gli istituti di ricovero e con i gruppi multidisciplinari”.

Un esempio di sinergia vincente è il centro che nascerà nellex complesso di San Cristoforo a Cesena. A presentarlo il professor Dino Amadori, presidente dell’Istituto Oncologico Romagnolo: “Sarà un centro olistico che coprirà dalla prevenzione alla musicoterapia, dall’attività fisica alla conoscenza delle corrette abitudini alimentari”. Centri del genere esistono già in realtà come New York e Houston, negli Stati Uniti, che infatti si confermano come i migliori centri oncologici del mondo. “In un territorio dove possiamo vantare un’assistenza medica di altissimo livello non possiamo accontentarci di una bassa qualità della vita delle pazienti: il nostro scopo è che la loro quotidianità si normalizzi il più possibile” spiega Amadori.

A questo scopo è importante coinvolgere anche la famiglia della paziente: a spiegarne il ruolo è il dottor Ugo De Giorgi, responsabile del gruppo di patologia uro-ginecologico dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori. “Sono nate nuove figure come il cosiddetto caregiver: è il componente della famiglia che si prenderà cura della paziente e che deve anch’egli o ella essere seguito dai medici. L’incidenza di depressione è infatti paradossalmente più alta in questi soggetti che nella malata stessa”.

“All’ospedale di Forlì il lavoro di squadra funziona bene e viene rispettato” spiega il dottor Giorgio Ercolani, direttore del dipartimento di chirurgia del Morgagni-Pierantoni. “Capita spesso, purtroppo, che alcuni medici pretendano di lavorare da soli, ma per raggiungere il massimo risultato la multidisciplinarietà è fondamentale”. Tradotto: lavorare insieme senza voler primeggiare, ricordandosi che “l’obiettivo è la persona, non la malattia”.

Silvia Panini

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g
To Top