Cuce microspia addosso al figlio per incastrare le maestre

Il padre è arrivato a piazzare una microspia. Uno strumento da 007 cucito nel grembiule del figlio per incastrare le maestre che, a  suo dire, umiliano costantemente il figlio e lo espongono agli atti di bullismo del resto della classe. L’ennesima vicenda che testimonia i rapporti sempre più delicati fra il mondo della scuola e le famiglie si è verificata nella zona del Canavese, in provincia di Torino. Per cinque mesi il padre ha registrato le giornate scolastiche di R., 9 anni, alunno di terza elementare e il fine settimana ha riascoltato le conversazioni. Il tutto all’insaputa del bambino, oltre che degli insegnanti e dei compagni di scuola, naturalmente.

Alla base del gesto, come spiegano i media locali, c’erano le relazioni sempre più negative delle maestre sul piccolo che, stando al loro racconto, in classe dà fastidio e tiene comportamenti da bullo: “Chiamo mio papà e vi ammazzo tutti“, sarebbe una delle frasi incriminate. Il bambino invece nega tutto, disperatamente. Anzi, fornisce una versione diametralmente opposta: dice che le maestre lo accusano ingiustamente e alla fine lo hanno fatto diventare nello zimbello della classe, oggetto di costanti umiliazioni. Le maestre insistono e danno un consiglio ai genitori: prima che sia troppo tardi, dicono le docenti, fate curare il bimbo da un neuropsichiatra infantile perché è un bugiardo seriale. Risultato per il piccolo: un forte stress certificato anche da un pediatra.

Da persecutore a vittima, insomma. Così il padre si è trasformato in detective e ha voluto verificare di persona con l’aiuto della tecnologia. Dopo nottate passate a sbobinare, l’uomo pare avere raggiunto la prova: sono le maestre che mentono e il figlio ha ragione. Di conseguenza nei giorni scorsi si è rivolto ad un avvocato per ottenere giustizia – ha fatto un esposto in procura ed ha avvertito la preside dell’istituto e l’Ufficio scolastico regionale – e ha reso pubblica la storia.

Ma che cosa è emerso dalle registrazioni? Secondo le prime indiscrezioni, ad esempio il bambino una volta avrebbe colpito un compagno con un pugno allo stomaco e la maestra lo avrebbe ripreso con un “Vero che lo vedi fare a casa?”. Un’altra volta una maestra avrebbe detto: “Tua mamma non ha libertà di esprimersi. Vero che funziona così a casa?”. Il riferimento è alle rodigini nordafricane delle donna, sposata ad un italiano. A complicare tutto, però, ci sono anche i ‘precedenti’ del bimbo che in un altro istituto aveva avuto analoghi problemi e, proprio per questo, a settembre era stato trasferito.

La preside della scuola cade dalle nuvole: Io non ho mai visto il padre del bambino – ha detto alla Stampa – E, se davvero, c’erano tutti questi problemi, mi chiedo perché non abbia mai chiesto di parlare subito con me, ma abbia atteso cinque mesi. E’ stato un fulmine a ciel sereno anche per le maestre”. La prima misura presa in considerazione è un altro trasferimento in un nuovo istituto.

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