La diagnosi di fibromialgia è arrivata 18 anni fa, quando il suo terzo figlio ne aveva appena tre: “Dopo l’ultima gravidanza, che fu molta difficile, non sono stata più bene”. Monica Gardani, 53 anni, di Parma, da allora si è sentita dire di tutto: che era depressa, che era la depressione a farle avvertire il dolore e non i dolori fisici a buttarla giù, che si inventava tutto. Ma oggi, dopo tanto abbandono e tanto isolamento, vuole combattere per i propri diritti e quelli di tutti i malati come lei: “Da sola non ho mai ottenuto nulla. Credo che serva una mobilitazione di gruppo per attivare localmente, sui territori, una rete di auto-aiuto. A volte, per noi fibromialgici, è impossibile persino alzarsi dal letto. Figurarsi prendere la macchina per fare decine e decine di chilometri”.

Perché a questo, spesso, costringe la fibromialgia: “A passare da medico a medico, a vagare di città in città in cerca di una soluzione che non arriverà. Io, come tutti, ho periodi buoni e altri terribili, mi curo prevalentemente con i farmaci e cerco il più possibile di camminare. Ma la malattia c’è e dalla zona delle scapole e del collo si sta diffondendo sempre di più al resto del corpo”:

L’impatto è stato ed è fortissimo anche a livello sociale e familiare: “Le persone faticano a capire e a starti vicino, alla lunga il dolore cronico le stanca e le allontana. Io ho perso molte amicizie, ritrovandomi profondamente sola, a crescere tre figli con una grandissimo carico sulle spalle. Mia madre per un periodo mi ha dato una mano, per poi cominciare a soffrire come me di fibromialgia”.

Sono due, in particolare, le rivendicazioni di Monica: “Da una parte, vorrei che cambiasse l’approccio della classe medica, che raramente cerca di entrare in empatia con il malato, pensando che sia un matto che si sta inventando tutto, pensando che abbia tempo da perdere. Dall’altra, vorrei che la fibromialgia fosse una malattia riconosciuta, quando a oggi non fa rima con diritti e Stato sociale. Io, per portare avanti la famiglia, non ho lavorato. Ma come avrei potuto farlo, in queste condizioni? Con quali garanzie e tutele, poi? Non ci sono riconoscimenti di invalidità, pensioni ad hoc, esenzioni economiche. Il nulla, insomma”.