“Ho avuto paura, lo confesso”. Gabriele Bronzetti, cardiologo del reparto di Cardiologia pediatrica del Sant’Orsola di Bologna (lo avevamo intervistato tempo fa sul suo libro) commenta così, a pochi giorni dal viaggio che lo ha riportato in Italia dallo Zimbambwe – dove ha lavorato nella missione Luisa Guidotti -, la storia del bimbo di tre anni e mezzo affetto dalla Tetralogia di Fallot, una cardiopatia congenita per la quale è stato operato nei giorni scorsi. Bimbo passato alle cronache per quella che è stata definita la cura dell’aranciata.
Dottore, ha avuto paura?
“Sì, non lo nascondo. Si tratta di una patologia particolare: chi ne soffre subisce notevolmente il cambiamento di ambiente. Sembra paradossale che un bimbo di tre anni e mezzo come quello che ho portato a Bologna insieme alla mamma sia sopravvissuto in condizioni estreme come quelle del posto in cui vive e poi, il semplice fatto di salire su un aereo, possa averlo esposto a rischi”.
Quali, per l’esattezza?
“Aveva cinquanta di saturazione. Matterlo su un aereo, anche se ben pressurizzato, poteva essere pericoloso. La medicine le avevamo di fatto già tutte assestate prima della partenza. Ma contava, più di tutte, l’idratazione. Siccome a lui piace l’aranciata, ogni dieci minuti gliene ho dato un sorso. Per fortuna da Harare, la capitale dello Zimbabwe, il volo per Dubai è durato ‘solo’ sette ore. E da lì abbiamo preso il diretto per Bologna. Un viaggio più lungo non credo che il bimbo lo avrebbe sopportato”.
Non c’era un’altra soluzione, per viaggiare in sicurezza?
“Il volo medicalizzato, che però costa migliaia di euro. Prima di partire ho detto a Massimo, l’ondontoiatra della missione, che speravo di fare la cosa giusta. Lui mi ha messo un rosario tra le mani. E a un certo punto del volo, la saturazione del bimbo, che misuravo di continuo, è arrivata a 95. A livello religioso mi metto tra gli scettici ma quell’episodio mi ha davvero colpito”.
Le erano mai capitati casi simili?
“Sì, anni fa portai in Italia un bimbo con la stessa cardiopatia. A Johannesburg lo idratai forzatamente con la Coca Cola. All’acqua questi bimbi non sono abituati, la bevono a fatica. Meglio provare con qualche bevanda dolce e gradevole”.
Ci sono stati attimi critici?
“All’inizio del volo il bambino si è portato le ginocchia al petto, posizione tipica di chi inizia a stare male. Ma per fortuna è durata poco. Con noi c’era anche un altro bimbo di due anni, con una cardiopatia più stabile, che dev’essere ancora operato”.
Qual è l’impatto emotivo di questi casi?
“Fortissimo. Spesso le mamme non hanno mai preso un aereo, lasciano alle spalle altri figli, molti dei quali malati, magari di Hiv. Li affidano ad altri parenti e si affidano a noi, spaesate e speranzose. Non è facile”.
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