Massimo Grassi, l’indipendenza dopo l’emorragia: “Mio figlio? Un alleato”

Massimo Grassi
Massimo Grassi

Sono passati quasi sei anni dall’emorragia cerebrale che, nel giorno della Liberazione, colpì Massimo Grassi, il papà di Correggio che, sulla sua esperienza, ha scritto insieme al figlio Mattia, oggi 13enne, il libro “Tutto suo padre”. Alla riabilitazione fisica, è seguita per Massimo quella sociale ed emotiva, argomento al quale ha dedicato il secondo libro “È stata un’alternativa alla disperazione” che presenterà mercoledì 8 marzo alle 17 all’ospedale San Giorgio di Ferrara.
Massimo, quali sono state le tappe più importanti del suo recupero interiore?
“Senz’altro l’autonomia abitativa, cioè il fatto di andare a vivere da solo. E poi tornare a guidare. Senza contare la terapia occupazionale: sono in pensione a causa dell’invalidità che l’emorragia mi ha lasciato ma sono stato riaccolto nella cooperativa di Reggio Emilia dove lavoravo prima. Qualche giorno alla settimana mi alzo alle 6 e mezzo e mi presento puntuale, anche se non devo timbrare alcun cartellino. Sono, in sostanza, di sostegno ai colleghi. Che non mi hanno mai trattato con pietismo. Per me tutto questo è vita”.
Ci sono state alcune persone centrali in questo percorso?
“Due medici, senz’altro: il dottor Nino Basaglia, che ha guidato tutta la mia riabilitazione. Nei corridoi del San Giorgio, accanto alle foto di alcuni pazienti importanti come Federico Fellini, c’è anche il mio poster. E poi la dottoressa Monica Sicari, secondo la quale non sarei più tornato a camminare: nonostante le perplessità, ha fatto di tutto per ridarmi la normalità. E quando mi ha visto alla mezza maratona di Torino, si è emozionata moltissimo”.
Che ruolo ha oggi suo figlio Mattia, che aveva definito come il più severo fisioterapista?
“Mattia ha metabolizzato i miei problemi. Oggi ha una piena consapevolezza di quel che è successo al contrario di allora, quando gli raccontarono che avevo bevuto una Coca Cola di troppo. Mattia oggi è un collaboratore, un alleato. Una volta alla settimana lo raggiungo a Bologna all’uscita da scuola e mangiamo la pizza insieme. Rito che gli è concesso, sempre una volta alla settimana, anche con gli amici: è in piena adolescenza, un’età bellissima quanto disgraziata, davanti alla quale mi sono posto con tanta curiosità e accettazione rispetto al fatto che sta crescendo e continuerà a farlo, che non è più un bambino”.
Lei è attivo anche nella onlus Edica, che si occupa di accogliere le famiglie dei pazienti ricoverati al San Sebastiano di Correggio mettendo a disposizione posti letto per tutta la durata della cura. Aiutare gli altri è terapeutico?
“Lo è, certo. La psicologa che mi segue a Correggio mi ha iscritto a un corso per facilitatori sociali che inizierò la prossima settimana. Insieme ad altri pazienti che hanno vissuto un trauma come il mio formeremo un team per aiutare i familiari delle persone che stanno passando la stessa cosa. Una sfida grande e importante che ho accettato molto volentieri”.
Dopo essere tornato a pieno titolo a vivere con dignità e indipendenza, che cosa le manca di più?
“L’aspetto più difficoltoso, al momento, è quello sentimentale. Non è semplice stabilire relazioni che vadano oltre l’amicizia, non tanto per gli ostacoli fisici quanto per quelli emotivi. Ci vado con i piedi di piombo. Senza darmi scadenze”.

 

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