
Quando a tuo figlio, a 12 anni, diagnosticano il diabete, “il mondo ti casca addosso”. Perché la vita, da quel giorno, cambia completamente. Anche se, come dice sempre il medico a Sabrina Silvegni, riminese, e a suo figlio Dennis, che adesso è in prima superiore, “è la malattia che deve adattarsi al paziente, non il paziente alla malattia”. Sabrina fa parte dell’associazione Diabete Romagna che nelle prossime settimane sarà impegnata nell’iniziativa Diabetes Marathon.
Due anni fa si era accorta che Dennis beveva spesso e faceva molta pipì: “Era luglio, eravamo al mare. E il pediatra mi chiamò per dirmi che gli esami avevano rivelato la presenza di zucchero nell’urina. Siamo corsi in ospedale e siamo stati catapultati in una realtà completamente nuova, dove si parlava di glicemia e insulina. Siamo stati tempestati di interrogativi. E non scorderò mai la domanda di Dennis al pediatra: ‘Morirò?’. Il diabete è stato una botta fortissima per tutti noi, forse più forte per mio marito, che è stato molto segnato dalla malattia. Nei primi tempi, una sera al ristorante, uscì fuori con Dennis per fargli l’insulina in macchina. E mi disse che si era sentito come un tossicodipendente costretto a nascondersi per spararsi una dose”.
Il tempo e l’abitudine, però, hanno migliorato di molto le cose: “In genere, durante l’adolescenza, i ragazzi rifiutano la malattia. A Dennis non è successo: è un ragazzino giudizioso che, se quando esce con gli amici non vuole portare con sé l’insulina, evita di prendere il gelato con loro. E che se invece vuole mangiare la patatine in compagnia, la prende su. Sa, come gli ripeto spesso, che la malattia lo accompagnerà per tutta la vita. E che deve fare di tutto per conviverci al meglio”.
Questo non evita la grande apprensione che Sabrina vive nei suoi confronti: “A me spaventa molto la notte. Io e mio marito Sergio ci svegliamo due o tre volte per verificare che il sensore che mio figlio tiene al braccio segnali ipoglicemie o iperglicemie. Finora siamo stati fortunati, non è mai successo nulla. Il diabete di Dennis è stabile. E lui continua senza problemi a fare calcio: tra l’altro lo sport è consigliato a chi ha il suo problema”.
Uno degli ostacoli si è verificato nel passaggio dalle medie alle superiori: “Dennis aveva paura a mostrare agli altri il sensore e l’insulina, era spaventato dall’idea di dover spiegare agli altri di cosa si trattava. Ma era settembre, aveva ancora le magliette a mezza manica. E questo ha favorito il fatto che i suoi nuovi compagni si siano avvicinati per capire. Non ha sentito il bisogno di nascondersi. E adesso una volta a scuola mangia in mensa con loro senza alcun problema”.
A scandire la vita di Dennis è il calcolo dei carboidrati, che consente di migliorare il controllo glicemico: “In questo modo mio figlio mangia di tutto. Per ora ha rifiutato il microinfusore insulinico, perché siccome fa calcio gli è scomodo. E anche se gli sto addosso continuamente, è in grado di gestire la malattia da solo”.
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