“Le mamme dei figli maschi hanno una grande responsabilità”. Le parole della giornalista Serena Bersani, che ho conosciuto lunedì ad un corso su come raccontare la violenza di genere sui media, mi hanno attivato un moto di soddisfazione interiore. Mentre Elisa, un’amica e collega, annuiva dalla platea e mi mandava, intanto, un messaggio per dirmi che regalerà al suo bambino di tre anni, a Natale, la cucina giocattolo di Ikea, io ripassavo mentalmente tutte le attività in cui coinvolgo quotidianamente mio figlio, due anni.
Attività che nell’immaginario collettivo (medievale) sono considerate femminili. E che io ho iniziato a proporgli non appena è stato capace di stare in piedi. Avendo ereditato la cucina dalla sorella maggiore, non mi sono mai posta il problema di comprargliela o meno. Perché in casa c’è da quando è nato. In ogni caso, al nido c’è. Quando entriamo nel suo negozio di giocattoli preferito si catapulta a “cucinare”. E se capitiamo a casa di qualche bambino o bambina che ce l’ha, idem.
Ieri sera, dopo cena, ha preparato l’ennesima torta per la colazione. Quella vera, intendo. Si è messo il grembiulino e il cappello “da coco” (la traduzione è abbastanza intuitiva) e ha mescolato come al solito farina, zucchero, yogurt, lievito, gasandosi a dismisura – un classico – quando è arrivato il momento di rompere le uova. Finito di pasticciare, gli ho passato la spugna per pulire il tavolo sul quale aveva giocato. E poi, mentre passavo l’aspirapolvere, mi ha seguita con la sua (in miniatura), appassionandosi a spostare le sedie per approfondire la sua pulizia sotto il tavolo.
Mentre lo osservavo concentratissimo e divertito, mi sono chiesta: “Ma perché, tutte queste cose, non le dovrebbe fare anche da grande? Saranno pure normali, per lui?”. Poco prima mi aveva aiutata a buttare i panni nella lavatrice, passandomi le mollette per stendere il bucato, una volta finita. Stamattina, una volta vestito, è corso in cucina a preparare il caffè. Anche stavolta, quello vero: apre la macchina, mette le cialde e spinge il bottone.
Sono arrivata al punto che non posso far partire la lavastoviglie senza farlo partecipare, perché si arrabbia a dismisura: “Tocca a me!”. E così anche per sgombrarla (una delle cose per me più noiose tra i lavori di casa) lo devo coinvolgere.
Tutto questo, lontano da ogni ideologia, è molto semplice. Per lui equivale a giocare, passare il tempo, divertirsi. E non potrà non lasciare traccia sulla sua crescita. Anche il Comune di Ravenna, qualche tempo fa, ha lanciato una campagna sui lavori di casa dei bambini e degli adolescenti. Ma se partisse dalle mamme, l’input? Ha ragione Serena Bersani a dire che le donne, sui figli maschi, devono investire in modo particolare?
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Commenti:
Gentile Silvia,
Come padre di 3 figlie e di un figlio tra i 23 e i 18 anni aggiungerei che la missione educatrice dovrebbe riguardare anche le ragazze. Gran parte delle amiche delle miei figlie sono state educate ad evitare lavori di casa perché consjderati svalorizzanti per una donna. Stiamo adkttando un sessismo alla rovescia.
D’accordissimo Stefano. Nell’articolo l’ho dato per scontato. Lavori di casa per tutti e tutte, certo.
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