Anna Zaniboni sa per esperienza – ma anche leggendo le testimonianze di altre donne – che il personale sanitario non è preparato ad affrontare il lutto delle mamme che perdono un figlio durante la gravidanza, durante il parto o nel primo trimestre di vita. A lei, il ginecologo che le fece il raschiamento dopo un aborto spontaneo, disse che l’intervento si sarebbe potuto paragonare a quando, con lo scavino, tiri fuori la polpa dal melone. Un episodio che la dice lunga, a suo dire, sulla mancanza di tatto ed empatia in un momento che, nella vita di una donna, fa solo rima con dolore, disperazione, incapacità di accettare la perdita e rialzare la testa. Temi che, insieme ad altre donne che hanno vissuto esperienze simili, l’hanno portata a fondare, tre anni, fa, l’associazione “In un battito”, nata nel territorio di Cento. Associazione che il 15 ottobre, giornata del “Babyloss”, organizzerà a Ferrara un pomeriggio di sensibilizzazione sul tema.
“In questi tre anni siamo riusciti a compiere un piccolo passo – racconta la presidente -: portare il nostro materiale informativo, insieme a quello dell’associazione Ciao Lapo che è un po’ la nostra mamma e ci ha formati, all’ospedale di Cento, dove i depliant vengono dati alle donne che hanno perso un figlio, al momento delle dimissioni. Il nuovo obiettivo che ci siamo posti è fare la stessa cosa all’ospedale di Ferrara, che le mamme ci descrivono come una realtà piena di muri da abbattere. Il sogno, poi, sarebbe entrare fisicamente, come associazione, in ospedale, per occuparci di accoglienza e sostegno. Alla fine, le donne che passano dall’esperienza del lutto prenatale o perinatale hanno bisogno di un ‘mi dispiace’, hanno bisogno che medici e infermieri non dicano loro frasi inadeguate, come ‘non pensarci’, ‘succede anche ad altre’, ‘hai un altro figlio’, solo per colmare il vuoto e sedare un pianto“.
Le mamme, secondo Zaniboni, hanno anche bisogno di non sentirsi considerate alla stregua di pazze, disperate senza motivi reali: “I primi venti minuti dopo che a una donna viene comunicata la perdita di un figlio sono centrali. Su quelli vogliamo insistere, portando il personale sanitario a sviluppare empatia, a non scadere nel banale e dall’altro canto a non drammatizzare eccessivamente. Siamo consapevoli che il lutto delle mamme e dei papà è un lutto anche per gli operatori, che non essendo formati psicologicamente in materia, reagiscono secondo le proprie predisposizioni e sensibilità personali”.
Dietro la questione, precisa l’associazione di Cento, ci sono poi tabù duri a morire, perché fin dalla notte dei tempi la perdita di un figlio è stata nascosta dietro le mura di casa: “L’idea che il proprio corpo ha fallito è balenata nella testa di molte delle donne che sono passate dal lutto perinatale, me compresa. Da qui alla volontà di trattenere il dolore e non condividerlo, il passo è breve. Ecco perché l’argomento resta nell’ombra. Eppure riguarda molte donne. Solo all’ospedale di Cento, gli ultimi dati parlano di 480 parti in un anno a fronte di 124 perdite, dove per perdite intendiamo lutti prenatali, perinatali, nel primo trimestre, aborti volontari e terapeutici. Non diamo giudizi sulle interruzioni di gravidanza, siamo per la libertà di scelta di ogni donna. Noi ci collochiamo nel dopo, quando la donna il dolore per la perdita lo deve affrontare, gestire, superare”.
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