
Diceva che la persona umana e la famiglia dovevano “venire prima”, stare “al centro”. Per coerenza non aveva esitato a far schierare il suo giornale su posizioni ‘pro vita’, anche quelle più estreme. Una difesa accanita dei “valori” che probabilmente gli aveva fatto dimenticare i diritti e i doveri. Al punto che questa mattina Gianni Celli, ex editore del quotidiano La Voce di Romagna, è stato arrestato con le accuse di malversazione ai danni dello Stato, falso in bilancio, e bancarotta fraudolenta. Il 72enne verucchiese è finito agli arresti domiciliari. Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Rimini ha effettuato anche un sequestro preventivo di beni per un ammontare complessivo di circa 9 milioni di euro.
La famiglia, si diceva. Un anno e mezzo fa, il 27 aprile 2015, nove giornalisti furono messi in cassa integrazione. Nove famiglie (per lo più con figli) messe alla porta mentre il quotidiano cambiava pelle e usciva con un nuovo editore, il figlio di Celli, Nicola. Un’operazione tutta in famiglia la cui trasparenza è sempre stata contestata dai lavoratori e dai sindacati dei giornalisti. Sindacati che Celli non ha mai voluto in azienda perché, assicurava lui (e non poteva essere altrimenti), “qui siamo come in una grande famiglia, non ce n’è bisogno”. Una posizione che nel 2014 gli ha fruttato due condanne da parte del giudice del lavoro in occasione di altrettanti licenziamenti di giornalisti: una per comportamento antisindacale, l’altra per comportamento “ritorsivo e discriminatorio”. I cronisti sono stati reintegrati salvo poi finire ‘rottamati’ con la cassa integrazione qualche mese più tardi. Per loro non c’era più posto in famiglia.
Poi, mentre Celli junior cercava faticosamente di far sopravvivere la ‘nuova’ Voce, con un’emorragia di copie e pubblicità dovuta al ridimensionamento dell’organico e alla perdita di molte professionalità, la vecchia Editrice La Voce nel luglio 2015 è stata dichiarata fallita. Con un buco di 12 milioni di euro: giornalisti, fotografi, grafici, agenzie e una montagna di fornitori non pagati. Adesso Celli dovrà spiegare che cosa ha fatto con i contributi pubblici: dove sono finiti i soldi, milioni di euro, che per anni ha preso dallo Stato per mandare avanti il giornale? Secondo l’accusa li avrebbe indebitamente utilizzati per finanziare altre società a lui riconducibili che operavano in altri settori imprenditoriali, tra i quali anche quello immobiliare. Si tratta di imprese che non hanno mai restituito le somme ricevute oltre ad aver sottratto risorse statali per sostenere l’attività editoriale, utilizzandole per propri scopi personali omettendo di pagare gli stipendi e i contributi ai giornalisti. Poi, spiega il provvedimento di arresto, ci sono i bilanci falsificati per mascherare una situazione economico-patrimoniale ormai irrimediabilmente compromessa.
Eppure la famiglia a cui teneva tanto, Celli non se l’era dimenticata. La propria. A giudicare dal tenore di vita e dall’ammontare dei sequestri effettuati dalla Finanza, non pare aver sofferto quanto quelle dei dipendenti. Ma che ne sarà della Voce di Romagna? Per ora la testata sarà amministrata da un curatore nominato dal Tribunale di Rimini ma le prospettive sono fosche.
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