de simoneUn marito, un figlio, i compiti, la cena da preparare, le mutande da comprare. Dall’altro lato le prostitute che bussano alla porta in infradito anche se è inverno, con una busta di plastica e nient’altro per le mani. Come Blessing, nigeriana, che con la sua storia e la sua disperazione immerge ancora una volta Tina, la protagonista narrante di “Avanti il prossimo. Storie di ordinaria prostituzione” (biancaevolta edizioni) nelle contraddizioni del sistema normativo e sociale che delle vittime di tratta deve farsi carico, in un mondo femminile e femminista altrettanto paradossale. L’autrice, Giovanna De Simone, che lavora da dieci anni in un centro anti-violenza e anti-tratta a Ferrara, sarà questa sera alle 20,45 al Dock 61 di Ravenna (via Magazzini Posteriori 61) nell’ambito del Pre-Festival delle Culture. Dove racconterà un mestiere a dir poco sottovalutato, quello dell’operatore sociale.
Giovanna, con grande ironia e spirito dissacrante, è riuscita a renderci partecipi del suo lavoro, poco raccontato quante usurante. Lei è anche mamma di un bambino di 12 anni. In che equilibrio stanno, le due dimensioni?
“Stridono. E lo fanno in modo ingiusto. A casa ci si deve occupare di figli, compagni o mariti, genitori e suoceri, spesa e pulizie. Un’attività di cura che spesso è tutta sulle spalle delle donne e il cui peso, in questo caso, è gravato dal lavoro di cura rivolto alle utenti. Il fatto è che tutto ciò accade in un ambiente composto interamente da donne, e pure femminista”.
Ci vorrebbe qualche uomo a compensare?
“La politica nazionale vieta che ci siano dipendenti maschi. L’uomo verrebbe associato, dalle utenti, allo sfruttatore o cliente nel caso della prostituzione, al compagno nel caso della violenza di genere. Dove lavoro si è provato, in passato, a introdurre qualche figura maschile che, però, è sempre stata vista con molta diffidenza. Ciò non toglie che bisognerebbe continuare a lavorare in questa direzione, perché a mio parere un cambiamento è più che mai necessario”.
Che cosa non si capisce, da fuori, del lavoro dell’operatore?
“La gente, in generale, non sa che mestiere sia. Le istituzioni lo sottovalutano, viste le condizioni economiche a cui è relegato. Credo che da fuori si abbia la percezione che abbiamo a che fare con un 730 invece che con con persone in carne e ossa, al limite della disperazione e della sofferenza. Un dolore che rimane addosso a chi ha a che fare con gli utenti. Ecco perché, nel libro, parlo spesso di burn-out: non è immaginabile la mole di lavoro che ci portiamo a casa, il senso di responsabilità che abbiamo per il fatto di poter cambiare o non cambiare, con una nostra scelta, il destino delle persone”.
Ci vogliono caratteristiche precise per poterlo svolgere?
“Una preparazione psicologica e una predisposizione personale non tanto all’ascolto, quanto al non giudizio. Non è così facile, infatti, sospenderlo. Il nostro è un mestiere che non assomiglia a quello che immaginavo quando studiavo e mi calavo, nella mia dimensione di sognatrice, nel ruolo della salvatrice, che è quello che spesso le utenti ci affibbiano. Non dev’essere così: se io mi pongo come quella che ti può salvare, tu sei in automatico la vittima. Invece, serve mettersi in una posizione paritaria”.
Police officer delay prostituteQuante volte ha pensato di dedicarsi ad altro?
“Lo penso almeno una volta al mese. Mi dico che mollo tutto e vado a fare l’agricoltore, così non penso più a niente. Ma poi mi trattiene qualcosa che forse non so, o quella prostituta che adesso si è sposata e ha messo su famiglia. Se, grazie agli strumenti che le hai dato, una persona ha cambiato vita, il senso forse sta tutto qui”.
Ci si abitua? 
“Ogni volta penso di essermi abituata: in realtà, ogni persona ti fa risuonare dentro qualcosa di diverso, ti rimette in discussione, ti spinge a chiederti ancora come potrai aiutarla e che ci stai a fare, tu, davanti a lei”.
L’abbruttimento di Tina e delle colleghe, anche nel look, è reale?
“Assolutamente sì, è successo anche a me. Andare a lavorare truccata e ben vestita ti fa quasi subito sentire in colpa nei confronti delle donne che bussano alla porta del centro”.
E a suo figlio, è stato semplice spiegare la sua attività?
“Sì, sa che cosa è un preservativo, sa che cosa fanno le operatrici in strada, sa che cosa significa prevenzione del danno”.
Vista da dentro, la prostituzione in cosa è diversa rispetto all’idea che se ne ha da fuori?
“Un luogo comune è che le prostitute sono per strada perché lo hanno scelto: non è così, spesso quella è una scelta obbligata perché c’è una famiglia da mantenere. E poi, nessuno ammette mai di essere un cliente: non possono esserci solo i single a pagare per fare sesso, basta fare due conti per capirlo”.

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