Grazia, Mauro e gli altri: “Siamo in dieci, ecco la nostra casa famiglia”

casa famiglia don oreste benzi
Maria Grazia Zuiani

“Un regalo a chi ha bisogno, un regalo ai nostri tre figli. Perché nella vita non è tutto dovuto, perché è importante dare agli altri un po’ del nostro tempo, del nostro spazio, del nostro stile di vita, del nostro superfluo. Perché conoscere la sofferenza e la fragilità serve, eccome se serve”. Maria Grazia Zuiani, 53 anni, originaria del Veneto, è insieme al marito Mauro Maraldi, 62 anni, cesenate, l’anima della casa famiglia “Don Oreste Benzi” che la comunità Papa Giovanni XXIII ha inaugurato il 23 giugno del 2012 a Ravenna, nella canonica del santuario di Santa Maria del Torrione.

Oltre ai loro tre figli di 20, 18 e 16 anni, Grazia e Mauro accolgono al momento due minori con disabilità grave, due adulti con disabilità intellettiva e un minore straniero non accompagnato: “Siamo in dieci, anche se per le esigenze più varie, le cose possono cambiare e possono arrivare nuove persone, fino a un massimo di dodici. La casa funziona a fisarmonica, si entra e si esce secondo una mobilità abbastanza flessibile”.

La storia della coppia affonda le radici nell’educazione cattolica ricevuta da bambini, in un’infanzia e giovinezza passate in parrocchia e poi in un fidanzamento nel quale le premesse per dare vita a una famiglia allargata e quanto mai originale c’erano tutte: “Ho conosciuto Mauro in Veneto. Io lavoravo per la Coldiretti, lui era un dirigente della stessa associazione di categoria. Già prima di sposarci, sapevamo di volere dei figli e di essere portati per l’accoglienza. Forse, però, non immaginavamo di arrivare così lontano”.

Quando, per esigenze di lavoro, la coppia si trasferisce a Ravenna con i tre figli molto piccoli (il maggiore aveva solo sei anni), inizia l’istruttoria per ottenere l’idoneità all’adozione: “In realtà i servizi sociali ci dissero che c’era molto bisogno sul fronte dell’affido e ci proposero un caso particolare: un bimbo di tredici mesi disabile grave, che allora ne dimostrava tre e che ancora oggi vive con noi. Lui è stato il nostro angelo, quello che ci ha aperto la strada verso l’esperienza che avremmo poi fatto in futuro”.

Grazia e Mauro, poi, incontrano la comunità Papa Giovanni con la quale – dopo avere frequentato per un periodo una casa famiglia di Ravenna – iniziano la verifica vocazionale: “Un percorso – racconta Grazia – che serve a capire se nel proprio cuore c’è la disponibilità a prendere sotto il proprio tetto persone esterne alla famiglia, se c’è la predisposizione ad accogliere ed aiutare chi non ne ha una. E se, allo stesso tempo, c’è la convinzione di voler fare una vita modesta, come Gesù”. La chiamata, dopo un anno di messa alla prova, la coppia la sente allo stesso modo. E così, insieme a don Oreste Benzi, Grazia e Mauro decidono di mettere su una casa famiglia: “All’epoca vivevamo a Classe in una casa normale, adatta a ospitare cinque persone. Poi, tramite l’interessamento di Giuseppe Verucchi, che allora era vescovo, e alla raccolta fondi promossa dalla comunità tramite fondazioni bancarie e collette, feste e cene, siamo riusciti a ristrutturare lo stabile dove viviamo ora a a renderlo idoneo alle esigenze della casa famiglia. Ancora oggi viviamo così, grazie ai fondi che la comunità trova, grazie alle offerte e grazie alle rette che i servizi pagano per alcune delle persone ospiti”.

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La casa famiglia “Don Oreste Benzi” a Ravenna

Una scelta fortissima che ha portato i due coniugi a rinunciare all’attività lavorativa per dedicarsi in pieno alla famiglia allargata: “Ci teniamo a essere, anche per i figli non nostri, due figure presenti e di riferimento, così come siamo la mamma e il papà per i nostri tre ragazzi. Qui bisogna esserci: per accudire, preparare i pasti, mangiare insieme, portare a scuola i due ragazzini minorenni disabili. Le persone che accogliamo hanno ferite gravi, vanno seguite bene”. In realtà la casa è un via vai continuo di gente: “I parrocchiani che ci portano la frutta e la verdura, quelli che ci chiedono una parola di conforto in un momento difficile. E poi i volontari che ci aiutano con le faccende, la ragazza che attualmente sta svolgendo il servizio civile qui da noi. Senza contare gli amici dei nostri tre figli, che a volte si fermano anche a dormire”.

E a proposito di figli, Grazia tiene a precisare come non sia facile trasmettere loro il valore di tutto questo: “Quando abbiamo deciso di occuparci di una casa famiglia, loro erano troppo piccoli. La vocazione è mia e di Mauro, non loro. Non nascondo che a volte tornano a casa chiedendoci come mai non possono avere lo spazio tutto per sé, come mai non possono chiudere la porta e lasciare da parte il resto. Ci raccontano che sono stanchi, che vorrebbero un po’ di intimità e che preferirebbero stravaccarsi sul divano e avere l’ultimo modello di cellulare. Noi siamo consapevoli del fatto che hanno diritto, ogni tanto, ad avere la mamma e il papà tutti per sé, anche solo per un giro in centro o andare a comprare un paio di scarpe. Ma siamo certi che sia un grosso dono che facciamo loro quello di mostrare fatica e gioia, dolore e rinascita. Poi, a ballare o agli happy hour, li portiamo anche noi”.

Per staccare un po’ la spina, lo scorso anno Grazia, Mauro e i tre ragazzi sono andati qualche giorno in vacanza da soli, lasciando la responsabilità degli ospiti della casa ai membri di un’altra casa famiglia arrivata in sostituzione: “Un’esperienza che ha fatto benissimo a tutti. Anche le vacanze, infatti, sono un po’ una sfida. Bisogna attrezzarsi, spostarsi in tanti, scegliere luoghi adatti e dove si spenda poco, come l’albergo ‘Madonna delle vette” fondato da don Benzi, per le persone disabili, a Canazei”.

Per quanto accoglienti e aperti al prossimo, Grazia e Mauro rifiutano sia la definizione di famiglia Mulino Bianco che i complimenti personali marcati: “Siamo umani, come gli altri. Sbagliamo anche noi. E in questa casa famiglia non rappresentiamo i Maraldi, portiamo la comunità. Un giorno potremmo non avere più le forze, potremmo non essere più in salute, potremmo anche avere una crisi. A noi subentreranno altre persone, la casa famiglia esisterà anche senza di noi”.

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