
“I bambini, se tu resti la persona di prima, dopo i primi momenti di curiosità hanno già preso atto di tutto. E non c’è bisogno di spiegare chissà cosa”. Alex Zanardi, il pilota di Formula 1 che perse le gambe a causa del tragico incidente del 2001 sul circuito tedesco del Lausitzring, gareggerà oggi e domani all’autodromo di Imola durante la prima edizione del “Montecatone Paracycling”, la gara preolimpica organizzata dalla Fondazione Montecatone onlus. Oggi pomeriggio farà anche visita alle famiglie dei pazienti dell’ospedale di riabilitazione. Un tipo di incontro che gli capita di fare spesso.
Alex, quanto è difficile incontrare le persone che stanno attraversando vicende simili a quelle capitate a lei quattordici anni fa?
“Sono solito raccontare la verità, dire le cose come sono state e come sono oggi: nessuno potrà mai dirmi ‘da che pulpito parli?’. In virtù di quello che ho passato, ho un ascendente indiscutibile sulle persone, che mi consente di aiutarle ad affrontare lo smarrimento. Non ho nessun potere particolare e non credo di essere né un modello né una fronte di ispirazione. Ma la mia storia può essere un termine di paragone. Vedendo il mio stato attuale e tutte le attività in cui sono impegnato, dal paraciclismo alla conduzione televisiva, forse chi si è appena incontrato la disabilità può intravedere una piccola luce, una possibilità”.
Se guarda all’Alex Zanardi prima dell’incidente, gli attribuisce la forza che poi ha dimostrato di avere dopo?
“No, affatto. Ho un ricordo del film ‘Nato il 4 luglio’: a un tratto si vede Tom Cruise, reduce dalla guerra del Vietnam, in carrozzina senza le gambe. Quando vidi quella scena pensai che io, in quella situazione, mi sarei senz’altro ucciso. Invece, poi, mi è successo. E l’ultima cosa a cui ho pensato è di farla finita. Quando ti trovi in certe situazioni, l’unica chance che hai è farti forza su ciò che ti è rimasto e ripartire da lì: sono senza gambe ma gran parte della mia vita attuale è legata in modo indissolubile all’incidente. La mia storia è stata raccontata spesso e in molte salse ma questo non significa che sia l’unico ad aver rialzato la testa così: sono solo uno dei tanti che possono testimoniare come si possa ricominciare”.
Dove si trova la motivazione?
“Negli obiettivi: io me ne do ogni giorno. Quando nel 2010 ho iniziato con il paraciclisimo, scoprendo nell’handbike una nuova e inedita passione, mi sono reso conto che si può avere sempre uno scopo. In tutto quello che faccio provo a metterci voglia e impegno. Quando sono rimasto senza gambe, il primo pensiero è stato quello di recuperare le forze: avevo bisogno dei medici come non mai in quel momento, sentivo la necessità di capire quali opportunità avrei avuto, quale sarebbe stato il mio recupero, fin dove avrei potuto sperare. Poi, una volta rientrato a casa, mi sono messo in testa di tornare a voler essere il miglior marito del mondo per mia moglie Daniela e il miglior padre del mondo per mio figlio Niccolò”.
Niccolò aveva tre anni nel 2001: ricorda la sua reazione?
“Ricordo che a Berlino, dove ero ricoverato, mi chiesero subito se volevo vederlo. Io chiesi di rimandare, avvertivo solo un bisogno fisico di rimettermi in sesto. La parte psicologica, che preoccupava molto chi mi stava intorno, per me era in quel frangente il problema minore. Quando ho sentito che era arrivato il momento di riabbracciare mio figlio, l’ho chiesto: lui mi ha guardato per un po’ incuriosito, poi ha capito che non avrebbe certo potuto chiedermi di mettermi a correre con lui. E mi ha proposto di giocare a briscola. La stessa cosa successe con il mio nipotino, quando tornai a casa: una volta realizzato che non avevo più le gambe, si mise a spingere la carrozzina. Mi ritrovai attorno altri bambini come lui della nostra famiglia, tutti intenti a portarmi in giro, come in un gioco. Lì ho capito che, con i più piccoli, non è importante tanto che cosa gli spieghi ma come hai deciso di essere”.
Oggi che suo figlio è un ragazzo, come vive la sua condizione?
“Per lui è la normalità. Gli dà più fastidio di certo la mia popolarità: è raro potersi fare un giro per strada senza essere fermati. Dall’altro lato è orgoglioso, ne sono sicuro. Ma nella vita non si ispirerà certo alle mie attuali professioni. Tutto diverso rispetto a quando ero piccolo io, quando sognavo di fare il pilota e mi dicevo che, nel caso mi fosse andata male, avrei sempre potuto ripiegare sull’idraulico, il mestiere di mio padre”.
Qual è l’insegnamento più grande che la sua vicenda può trasmettere a lui e in generale ai giovani?
“L’idea che, davanti alle difficoltà, scopriamo di essere capaci di cose che non avremmo mai creduto. Quando fui dimesso dopo l’amputazione delle gambe, mi resi conto che l’unica cosa che riuscivo a fare da solo era cambiare canale in tv. E adesso, invece, sono qui”.
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salve vorrei incontrare alex zanardi perchè anche io ho avuto dei fatti che non riesco più a fare sport il mio telefono 3400848095
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