
“Non c’è psicologo o psichiatra che tenga davanti a un dolore così”. Alfredo Baioni crede al destino. Ed è convinto che quando la tragedia lo stava per travolgere, la vita abbia voluto fargli un regalo: l’arrivo di Isabella, avuta da Marina, la sua compagna russa. Il 12 giugno dello scorso anno, quando è nata, Alfredo mai avrebbe potuto immaginare che dopo due mesi, a Ferragosto, avrebbe perso la sua ex moglie, Claudia Torsani, e i figli avuti dal matrimonio con lei, Alessandro e Federico (12 e 8 anni), per una beffarda fatalità: un trasformatore elettrico che nella casa di Marina Romea dove la donna si trasferiva d’estate con i figli fa divampare un rogo su un vecchio divano e li uccide tutti e tre. Alfredo, che da undici anni vive a Mosca, dove è direttore di una società italiana che ha filiali in tutto il mondo, per prendere di petto il dolore ed evitare che si perdesse la memoria della sua famiglia, con alcuni amici ha fondato l’associazione di beneficenza “Claudia Ale Icco”, di cui è presidente. Tra i tanti progetti realizzati finora ci sono la donazione di computer al comprensorio di San Pietro in Vincoli, di fondi per i materiali scolastici alle medie del paese e alla primaria di Roncalceci, di borse di studio, delle divise della squadra Club Basket Russi in cui militavano i suoi figli. E poi il sostegno ai progetti di Linea Rosa e l’implementazione di nuove attrezzature al parco di Roncalceci, dove Claudia e i bambini vivevano.
Alfredo, impegnarsi per il sociale è un modo per affrontare un lutto pesante come quello che l’ha colpita?
“Non è certo la soluzione ma aiuta a far sì che ci sia un seguito, un ricordo che resta vivo anche in chi non fa parte della nostra famiglia e rischia, con il tempo, di dimenticare. Mi piace pensare che l’associazione si occupi delle cose che riguardavano Alessandro e Federico: la scuola, lo sport. Con i miei figli, nonostante la separazione, c’era un rapporto ottimo, quotidiano, così come con Claudia. Tanto è vero che avevamo deciso di non divorziare. Andavamo in vacanza insieme più di una volta all’anno e quando ero in Italia andavo a prendere i bambini a casa, li portavo a scuola e restavano con me tutta la giornata”.
Com’è stato tornare nella casa di Marina Romea dove è successa la tragedia?
“Difficilissimo. L’ho dovuto fare per seguire i lavori di ristrutturazione ma penso proprio che la venderò. Preferisco passare il tempo in solitudine nella casa dove vivevano a Roncalceci, respirare la loro presenza, fare come se il tempo si fosse fermato. Vado di rado al cimitero di Filetto, dove sono stati sepolti. Preferisco restare dove trascorrevano le loro giornate, dove erano vivi. E dove tutto è rimasto intatto, come prima”.
Da un lato una perdita insopportabile, dall’altro una nuova nascita. Com’è stato gestire due emozioni così grandi e opposte al tempo stesso?
“Credo che la nascita di Isabella sia stata una sorta di ricompensa alla perdita della mia famiglia. Non è stata e non sarà mai risolutiva, certo. Ma credo che sia stato l’appiglio per restare in vita, per non impazzire e per non morire. Sono sempre stato una persona forte e lanciata. Ma certi fatti non sono affrontabili. Quando torno in Italia, adesso, non sono mai solo: c’è sempre con me la mia compagna o qualche amico. Hanno paura che mi lasci andare allo sconforto e alla tristezza: i momenti no, in effetti, sono molti. Si vive alla giornata, non sapendo con quale umore la si affronterà. E come io resti dritto, in effetti, è un mistero”.
Torna spesso in Italia?
“Sì, torno regolarmente: mi piace raggiungere i miei genitori, incontrare i miei amici più cari, gli ex compagni di scuola dei miei figli. Torno per sentire la loro anima”.
Qual è il progetto più imminente dell’associazione?
“Stiamo organizzando, per l’anno prossimo, una sorta di campo estivo nel quale i bambini, per qualche settimana, potranno frequentare corsi di lingua e corsi sulla sicurezza. Lo lanceremo a Ravenna o al mare. Ci tengo molto”.
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