Se non sai che per fare il pane senza glutine hai bisogno di tanta acqua quanto farina, il risultato sarà disastroso. Idem se non sai come compensare gli ingredienti quando hai voglia di tirare la sfoglia. E magari impieghi una mattina intera per fare trenta tortelli per pranzo. Ilaria Bertinelli è l’autrice del libro “Uno chef per Gaia: la gioia della cucina per diabetici celiaci e appassionati”, che di fatto è la trasposizione del quadernino che per anni, da quando a sua figlia oggi undicenne vennero diagnosticate celiachia e diabete, si è portata dietro. Ilaria, parmense, interprete di conferenza, sarà sabato 14 marzo alle 16,30 alla Biblioteca comunale “Luigi Varoli” di Cotignola all’interno dell’iniziativa “Insalute. Cibo e movimento”. Dove racconterà come la vita della sua famiglia, intorno alla tavola, sia sia rivoluzionata di quel po’.
Quando avete scoperto la doppia patologia di Gaia, cinque anni fa, qual è stato il cambiamento più forte?
“Dopo lo choc e i primi tre mesi di incubo, con tutte le ansie e le paure del caso, abbiamo ripreso in mano la nostra vita, riorganizzandola poco a poco. Io, mio marito e il nostro figlio minore mangiamo come Gaia, senza glutine. Il glutine lo assumiamo quando mangiamo fuori casa. Se lo eliminassimo del tutto, ai controlli che facciamo non sarebbero in grado di capire se nel frattempo anche noi siamo diventati celiaci. La vera scocciatura, per Gaia, è la celiachia, perché ha più impatto sulla sua vita sociale. Il diabete per lei è più gestibile: dopo tre anni di multi-iniettiva, ora ha il micro-infusore, che le ha cambiato la vita in meglio”.
Sul modo di cucinare, qual è stato l’effetto delle due malattie di Gaia?
“Per un anno ho frequentato corsi di cucina. Dovevo capire le nuove materie prime che potevo utilizzare. I primi tempi sono stati costellati di insuccessi demotivanti. Poi, piano piano, ho cominciato a fare da sola. Ogni volta che preparavo qualcosa che piaceva a tutti, lo annotavo, facevo le foto e i miei figli facevano da giudici. Le 130 ricette del libro sono solo quelle che hanno ricevuto da loro tre cuoricini”.
Qual è il piatto più difficile da mettere in tavola?
“Il pane, perché non potendo usare il glutine devi raggiungere la giusta tecnica che ti consenta di tenere insieme lievito, acqua e farina. Devi abituarti a lavorare con consistenze diverse rispetto a prima. Ecco perché nel libro la maggior parte delle ricette riguardano proprio il pane e i dolci: non aveva senso perdere tempo intorno ai secondi, che tanto non contengono glutine. La vera sfida riguarda i carboidrati”.
Tutta la famiglia, di fatto, è coinvolta allo stesso modo nell’alimentazione e nella nutrizione quotidiana: ha un valore affettivo, questo sforzo?
“Sì, quando Gaia faceva l’insulina prima di mangiare, non ci potevamo certo permettere di portare in tavola qualcosa che non le piacesse e che non avrebbe mangiato. Il cibo è diventato qualcosa da condividere ancora di più, per farla sentire normale. Quel quadernino sul quale appuntavo ricette, e che chiamavamo ‘la nostra Bibbia’, era il nostro punto di riferimento. Se una sera dicevo ai bambini che avremmo mangiato la pizza con la scarola, loro sapevano esattamente che cosa intendevo”.
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