Non è colpa dei genitori, non è colpa dei ragazzi. Semmai, a volte, è colpa dei medici. E anche degli insegnanti. Di chi, insomma, il disagio psichico dovrebbe avere antenne per notarlo o riconoscerlo. Stefano Vicari, responsabile della Neuropsichiatra Infantile dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, sfata tanti luoghi comuni e lancia messaggi forti nel libro “L’insalata sotto il cuscino. Storie di disordini e di adolescenti” (Tea), dove ha raccolto sette storie che gli sono capitate per le mani al pronto soccorso del servizio da lui diretto. Accanto al caso di un ragazzo autistico agitato e violento, c’è quello di un disturbo del comportamento con esordio psicotico. E poi anoressia, bulimia, depressione.
Professore, i disturbi mentali che racconta sono molto diversi tra loro. C’è lo stesso un elemento che li lega?
“Li lega il fatto di essere frutto di un’alterazione a livello cerebrale, di essere manifestazioni di un problema del sistema nervoso. Li unisce, insomma, la matrice biologica. Ma anche l’invalidità che portano nella vita quotidiana di chi ne soffre: un disagio che comprende spesso isolamento ed emarginazione. Prendiamo l’esempio dei ragazzi iperattivi, la cui difficoltà di concentrazione può avere come conseguenza una certa aggressività: sono ragazzi considerati pericolosi e, per questo, messi in disparte”.
Il tema che lei tratta – la malattia mentale negli adolescenti – è molto di nicchia. Perché se ne parla solo in riferimento agli adulti?
“Per molti motivi, primo fra tutti il pregiudizio imperante: i malati mentali si trovano appiccicata addosso un’etichetta che li bolla per l’eternità. Alcune statistiche dicono che le persone preferiscono avere un cancro, piuttosto che avere dei disturbi mentali. Secondo, siamo ancora vittime dello psicologismo secondo il quale se abbiamo un figlio con un disagio psichico, siamo stati dei cattivi genitori. E poi, quando parliamo di bambini, la nostra cultura ci impone di dipingere sempre un mondo perfetto: se un bambino soffre di mente diamo colpa alla famiglia disagiata, cerchiamo sempre un capro espiatorio”.
C’è anche una piaga sanitaria da risolvere?
“Assolutamente sì, la situazione sanitaria italiana, al riguardo, è drammatica: i servizi mancano quasi del tutto. In Emilia-Romagna, che è comunque una delle regioni messe meglio, ci sono quattro posti circa per provincia dedicati alla malattia mentale. Significa che se un 16enne di Piacenza ha un episodio psicotico o un’anoressia grave, con tutta probabilità verrà ricoverato in Pediatria o in Medicina adulti. Lo dico sempre: fino a che non inizieremo a vedere il disagio psichico al pari di un diabete, le cose non cambieranno. Stiamo parlando di malattie, non di castighi di Dio”.
Qual è il messaggio di fondo del libro?
“L’invito a parlare, parlare, parlare. Ma anche l’appello ai ragazzi che vivono la malattia mentale a non sentirsi strani, a non sentirsi gli unici, a credere che nella maggior parte dei casi se ne esce. E ai genitori a non sentirsi colpevoli: veniamo da anni in cui l’autismo era imputato alle cosiddette ‘mamme frigorifero’, cosa che la dice lunga sull’argomento. Bando al terrorismo, insomma. Con le diagnosi precoci e le terapie mirate e tempestive, si evitano senza dubbi le conseguenze e i danni più gravi. Che, lo ricordiamo, comprendono in molti casi anche la morte”.
A proposito, c’è una storia – tra le sette raccontate – che le sta particolarmente a cuore?
“Sì, è quella di Fabrizio, un bambino ADHD, il cui disturbo non venne riconosciuto quando era piccolo. A 23 anni è morto per un’epatite fulminante derivante dall’uso di sostanze stupefacenti. Con una diagnosi puntuale, se la sarebbe senz’altro cavata. Il suo caso denuncia in maniera chiara i ritardi e le disattenzioni rispetto alla malattia mentale dei più piccoli. Questo è un paese per vecchi, dei giovani non si interessa nessuno”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta