Sara KayChissà se Raffaella, alla fine, si è convinta. Di certo non capita tutti i giorni che un libro ci venga dedicato per dimostrarci che sì, un figlio possiamo farlo anche noi, senza paura. Sara Kay, 25 anni appena, organizzatrice di eventi e giornalista milanese, non potrà rimpiangere di non averci provato. “Genitori G.A.Y. – good as you”, edito da Tempesta Editore, oltre che aggiungersi ai libri che sempre più spesso trattano il tema dell’omogenitorialità, è dedicato alla compagna di Sara, Raffaella. Due ragazze che vivono insieme da un mese e che, intorno al progetto di un figlio insieme, si sono confrontate, hanno litigato, hanno pianto e hanno riso.
Un saggio, il tuo, che però parte da una vicenda molto privata. Raccontacela…
“L’idea del libro, che raccoglie molte delle interviste che per diverso tempo ho scritto sul mio blog, nasce da una discussione che ho avuto una sera con la mia compagna. Un confronto da cui sono emersi tutti i suoi timori rispetto al sogno di un bambino. Così ho deciso di farle capire che non c’è nulla di male ad assecondare il desiderio di maternità, anche se si è lesbiche”.
Sei riuscita a persuaderla?
“Non so, vedo che ha ancora bisogno di conferme. Del resto è cresciuta in una famiglia molto credente e cattolica, facendo un’enorme fatica ad accettarsi come lesbica e vivendo come un lutto quella che sentiva come l’impossibilità di farsi una famiglia, di avere dei figli. Cosa che io non ho provato: non ho mai percepito la mia omosessualità come un ostacolo al sogno di essere mamma, un giorno. Fin da piccola, ben prima di scoprirmi lesbica, ho avuta chiara nella testa l’idea che sarei diventata madre”.
Mai avuto un dubbio, nel percorso mentale che ha portato a immaginarti una mamma omosessuale?
“All’inizio sì, chiaro. Pensavo mi servisse un uomo. Poi, quando ho capito che potevo essere madre anche da sola, ho iniziato a vedermi come mamma lesbica ma single. Da quando sto con Raffaella, quattro anni e mezzo ormai, non riesco a pensare a un progetto di famiglia che non contempli noi due. E quando ne parliamo con i nostri amici, la reazione è sempre positiva”.
I tuoi genitori, invece, come l’hanno presa?
“Mia madre piuttosto male. Nonostante si sia sempre dichiarata progressista e aperta di mente, quando le ho detto di essere lesbica ha reagito come non mi sarei mai aspettata. Ha cominciato a dire ‘Che cosa ho fatto di male?’, ‘Dove ho sbagliato?’. Cose insensate, che invece mio padre non ha tirato fuori: lo choc c’è stato anche per lui ma nel giro di qualche giorno si è ripreso. Adesso è curioso, fa mille domande, mi ha addirittura ringraziata del libro. Spero presto di invitare a cena i miei e mio fratello, nella casa dove vivo con Raffaella”.
Dopo l’uscita del libro, avete riaffrontato l’argomento, tu e la tua compagna?
“Sì, ogni tanto gliela butto là. Penso sia spaventata non solo dalla vecchia obiezione secondo cui chissà come cresce un figlio senza un padre, o dal giudizio che potrebbero avere gli altri di lei. Le fa paura il lato economico, preoccupazione che del resto può condividere anche chi non è omosessuale, dato il momento”.
Chi farebbe, delle due, da madre biologica?
“Vedremo, non abbiamo ancora deciso. Anche sulle modalità, per il momento siamo incerte”.
Quanto è difficile, in fin dei conti, superare i pregiudizi riguardo l’omogenitorialità?
“Lo è fino a che non si dimostra la normalità delle famiglie omogenitoriali, finché non le si incontra, non le si conosce. Perché puoi avere per le mani tutti i dati del mondo ma niente ti colpisce come le loro storie. Ecco perché, nel mio libro, la parte centrale è dedicata proprio ai racconti di vita vissuta”.

Il sito di Sara Kay è qui