Jens e i suoi nove “figli”: “Ecco perché faccio il donatore di seme”

spermatozoi, fecondazioneL’idea gli è venuta tre anni fa, leggendo di una banca danese che esportava seme in tutto il mondo. Ma anche ascoltando i racconti della sorella, mamma di due bambini, che gli segnalava quanto fosse difficile, per alcune amiche, rimanere incinta. E così Jens Nargaard (ma è solo uno pseudonimo), italiano, oggi 24enne, si è buttato nell’avventura: diventare donatore di sperma, permettendo alle coppie interessate di bypassare cliniche, interventi, liste d’attesa. Lo abbiamo contattato anche noi, per farci raccontare quello che pare un mondo parallelo, dove l’eterologa è affidata al tam-tam su internet, al fai-da-te e in buona sostanza a un forte patto di fiducia che si sigla a voce tra lui e chi cerca seme.
Jens, nessuna paura che, tra qualche anno, i genitori di quelli che di fatto sono i suoi figli biologici vengano a bussare alla sua porta, magari per rivendicare che il padre è lei e che deve quindi provvedere economicamente a quei bambini?
“No, anche perché mi tutelo non rivelando il mio vero nome, né il mio indirizzo, né la facoltà universitaria che frequento. D’altro canto le persone a cui dono il seme hanno la stessa paura: quella che un giorno io possa rivendicare la paternità dei loro bambini. Insieme, i due timori s’annullano”.
Quanti bambini sono nati, finora, grazie a lei?
“Sei maschi e tre femmine. In più, sono in corso due gravidanze all’ottavo e nono mese. E un altro paio sono appena iniziate”.
Resta in contatto, in genere, con i genitori de bambini?
“Sì, mi mandano le foto. Ed è bello ritrovare in quei visi certi tratti miei. Se facessi il donatore attraverso i canali ufficiali, non avrei l’opportunità di vedere il risultato delle mie donazioni. Non è megalomania, è interesse scientifico: mi appassiona la genetica. Senza contare che molti decidono di tenersi in contatto con me perché hanno in mente di avere altri figli in futuro”.
A casa sanno della sua attività?
“Assolutamente no, né la mia famiglia, né i miei amici. Due anni fa, insieme ad altri donatori di altri Paesi, ho creato una pagina Facebook tramite la quale le persone interessate possono contattarci. A differenza di alcuni anni fa, quando gli annunci erano casuali e rudimentali, oggi il gruppo Facebook è utile e comodo. Ma mi hanno aiutato anche alcuni articoli usciti sui giornali, dopo i quali ho visto che le richieste sono aumentate”.
Ci racconti un incontro-tipo…
“In genere mi viene richiesta l’inseminazione casalinga, quella con il barattolo sterile e la siringa. Ci si incontra in un bed and breakfast, oppure in un parcheggio. Io consegno il seme e finisce lì. Ma c’è anche chi chiede un rapporto sessuale, magari perché crede di avere più possibilità che la gravidanza attecchisca”.
Lo fa gratuitamente?
“Certo, al massimo mi garantiscono un rimborso spese per gli spostamenti. O mi fanno qualche regalo in seguito, quando la gravidanza parte. La legge 40 vieta la commercializzazione dei gameti. Del resto, le mie motivazioni sono altre: scientifiche, da un lato e altruistiche, dall’altro”.
Si è mai chiesto perché ci si affida ad un perfetto sconosciuto per avere un figlio?
“Perché se si opta per la fecondazione artigianale, quella che non passa per i centri specializzati, non è facile trovare un amico o un conoscente disposti a donare il seme. Molti non se la sentono. E dall’altra parte esiste la paura, fondata, che quell’amico magari voglia avere un coinvolgimento concreto nella vita del bambino, in quanto padre biologico. Io, in fin dei conti, pubblico sulla pagina del gruppo Facebook i miei esami del sangue aggiornati. Così scongiuro ogni preoccupazione sulla salute. Viva l’ottimismo, del resto”.
Che tipo di coppie si rivolgono a lei?
“Il divieto di eterologa è caduto da poco in Italia ma le difficoltà sono ancora molte: liste d’attesa, centri non ancora pronti, costi altissimi. E così, continuo a ricevere ingenti richieste da parte di coppie eterosessuali. Sì, anche single e lesbiche ma non sono la parte preponderante”.
Non le fa strano avere nove figli sparsi per l’Italia?
“No, mi piace vedere come mi assomigliano. E notare come metà di loro abbiano i capelli sul castano-rossiccio, tratto che avevano alcuni miei parenti. Dal naso in su, nello sguardo soprattutto, i bimbi sono molto simili a me”.
Possiamo chiederle se quando è nell’atto di produrre seme, pensa all’obiettivo?
“No, in quel momento penso senza dubbio ad altro”.

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